L’enorme differenza tra “pluralismo” e disinformazione

Nel recente passato, sono stati moltissimi i casi analoghi. L'ultimo è stato Massimo Citro della Riva ospite di Marcello Foa in Rai, ma sul Covid è da tempo che si rende feconda la terra dei complottisti e mistificatori della realtà

20/09/2023 di Enzo Boldi

Era già capitato in passato, capita ancora oggi e – probabilmente – capiterà anche domani. L’informazione e il giornalismo, due “categorie” che per natura devono essere il più attinenti possibile alla realtà dei fatti, spesso inciampano in errori grossolani e danno ampio spazio a pensieri e parole che non solo non sono verificati, ma sono anche smentiti dalla verità certificata. A volte la difesa d’ufficio risponde al nome di pluralismo, ma questa non può essere la giustificazione quando si dà spazio a narrazioni basate sulla disinformazione che rischiano di generare grande confusione (nel “migliore” dei casi) nei lettori, ascoltatori o telespettatori.

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L’ultimo caso riguarda la Rai, con l’ex Presidente della televisione Marcello Foa che ha invitato nella sua trasmissione radiofonica (in onda su Radio 1), Massimo Citro della Riva, medico (specializzato in psicoterapia) che nell’ottobre del 2021 venne sospeso dall’Ordine dei medici di Torino per essersi rifiutato di sottoporsi al vaccino anti-Covid. Nel corso del tempo, l’uomo si è anche reso protagonista di un’ampia diffusione di bufale sulla pandemia e sui prodotti per l’immunizzazione – la più clamorosa è il grafene (non) presente nei vaccini che sarebbe trasmesso sessualmente – e di un libro con la prefazione di un altro super-diffusore di bufale come Alessandro Meluzzi. Insomma, la posizione del personaggio è ben nota e anche la Rai – come si evince dal comunicato stampa che annunciava la puntata di “Giù la maschera” andata in onda martedì 19 settembre – ne era a conoscenza. Nonostante questo, in nome del “pluralismo” rivendicato anche da Foa, tutto è andato in onda. Prima di correre ai ripari (più o meno) mercoledì mattina quando il bubbone era già esploso.

Pluralismo e disinformazione, la differenza è netta (ma non per tutti)

Lo stesso giornalista e conduttore di “Giù la maschera“, mercoledì mattina ha aperto la puntata del “day after” con parole che sono destinate a non spegnere le polemiche. Ha rivendicato il fatto che in quella stessa trasmissione fossero intervenute anche personalità a favore dei vaccini (come Massimo Galli) e per questo, secondo lui, era giusto dare spazio anche a chi è contrario:

«Abbiamo interpellato Citro della Riva, che aveva un’opinione diversa, come si conviene a un giornalismo autenticamente plurale». 

Peccato che lo psicoterapeuta sia stato già smentito ampiamente nella sua narrazione disinformativa sui vaccini. Comprese quelle parole pronunciate nel corso della puntata di “Giù la maschera”. Inoltre, aspetto sottolineato da molti, lo stesso Foa ha annuito due volte (prima un «Certo», poi un «sì») mentre Citro della Riva continuava a propagandare il falso sui vaccini anti-Covid. Dunque, il confine tra pluralismo e disinformazione non diventa solamente una questione nel rapporto tra chi conduce e il radioascoltatore, ma anche tra il professionista pagato dall’azienda pubblica e l’azienda pubblica stessa. La Rai, tra le tante cose, sia nelle fasi più acute della pandemia che nell’aprile scorso, ha sottoscritto impegni formali nella lotta contro le fake news. Il controsenso, quindi, è servito sulla tavola imbandita delle giustificazioni che tentano di nascondere un “errore” marchiano.

I precedenti

D’altronde, i media italiani (ma è un fenomeno comune in molti Paesi), non hanno mai dato un buon esempio nel rapporto tra pluralismo e disinformazione. Lo abbiamo visto, più di recente, nei vari programmi (o articoli di giornale) che parlano della guerra in Ucraina. Nel corso degli ultimi anni, questa dinamica è stata esasperata dalla pandemia e dalle soluzioni sanitarie per contenere l’ascesa e la diffusione del virus. Si era partiti con i complotti sul Sars-CoV-2, si era passati alle mascherine e si è arrivati (come nel caso Citro della Riva) ai vaccini. Emblematico e – purtroppo – indimenticabile lo spazio dato da Massimo Giletti (quando conduceva “Non è l’Arena”, su La7) all’uomo che ha tentato di fingere di sottoporsi all’immunizzazione presentandosi in un centro vaccinale con un “braccio in silicone“.

Nello stesso periodo, ecco che Mariano Amici diventava ospite (quasi fisso) della stessa trasmissione di Giletti. Con i suoi tamponi testati sui kiwi – test senza alcuna valenza scientifica – voleva dimostrare la fallacia dei sistemi di controllo sulle eventuali infezioni da Sars-CoV-2. Sempre nello stesso studio, ecco arrivare l’ex vicequestore Nunzia Alessandra Schilirò (ma anche Andrea Stramezzi) e i suoi discorsi complottisti sulla pandemia, con ampia cassa di risonanza data anche da Mediaset che l’ha ospitata più volte (anche a “Fuori dal Coro” di Mario Giordano). Nel mirino delle critiche, in molti casi, è finita proprio La7 che in molte trasmissioni ha dato ampio spazio agli anti-vaccinisti. In tutti i casi – ma ce ne sono anche altri – la giustificazione utilizzata è sempre la stessa (come già detto da Foa): è il pluralismo.

I limiti della libertà di parola

Ma si può dire e fare tutto in nome di questo concetto? La Costituzione ricorda che la libertà di pensiero (e di espressione) è un diritto di tutti i cittadini. Questo precetto, però, non deve essere preso alla lettera. Lo insegnano le leggi e le sentenze. Se si potesse dire tutto quel che ci passa per la testa, tutti potrebbero insultare, diffamare, ingiuriare e istigare a delinquere tutti gli altri. La libertà di espressione di un singolo, dunque, trova un confine ben delineato: finisce dove inizia quella degli altri. Ancora meglio: finisce quando mette a repentaglio la sicurezza degli altri. Vale per il giornalismo, per il mondo dell’informazione. Vale per la vita quotidiana.

Per quel che riguarda i mass media (e qui includiamo, per natura, anche i social network), non può valere la giustificazione: li invitiamo per “il piacere del dibattito”. Così come: “li invitiamo per smentirli in diretta”. Chi porta disinformazione non può, per natura, far parte di uno spazio informativo. E occorre parlare chiaramente: nella maggior parte dei casi (senza fare nomi e cognomi) chi invita determinati personaggi non lo fa perché è in linea con le loro idee o convinto che la verità sia la loro (anche se smentita ripetutamente). Lo fa per creare quel dualismo e attirare fette di pubblico. Una platea che, troppo spesso, è confusa dalla marea di informazioni ricevuto da un mondo – quello del giornalismo – sempre più concentrato sull’appeal che sulle regole.

 

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