Quanto contano i siti di news e il social engineering nel conflitto in Ucraina?

La propaganda e la disinformazione nel conflitto tra Russia e Ucraina hanno un peso specifico e forme diverse

04/05/2023 di Ilaria Roncone

La propaganda a livello informativo e a livello social è stata uno degli ingredienti principali della guerra in Ucraina. Se ieri abbiamo approfondito la questione dell’utilizzo di internet come arma e di cyberwar, oggi ci occupiamo della disinformazione in internet come strumento di propaganda. Il lavoro dei giornalisti e di chi fa informazione libera è stato complicato dalle fake news e dalla propaganda guerra, e di questo avevamo già parlato alla fine del 2022 facendo un bilancio dell’anno appena trascorso.

La propaganda nel conflitto tra Ucraina e Russia non è mancata da entrambe le fazioni e si è servita di mezzi di informazione – a partire dai siti affiliati allo stato che, in molti casi, sono stati bannati sui social (i casi più noti sono Russia Today e Sputnik all’inizio della guerra) – e del cosiddetto social engineering.

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Propaganda guerra tra disinformazione e siti affiliati allo Stato

In che modo e in quale misura la disinformazione da siti affiliati allo Stato è stata a tutti gli effetti un’arma e ha influenzato e confuso le acque, per forza di cose, anche tra quei professionisti che hanno provato a ricostruire quello che accade al fronte nel resto del mondo? Della disinformazione sul conflitto Russia-Ucraina si è parlato sempre, da quando è esplosa la guerra, con report regolari (citandone alcuni, si vedano quelli di Newsguard, Idmo e Edmo) che hanno permesso di tratteggiare nel modo più chiaro possibile la situazione.

Nonostante le azioni dell’Occidente per arginare la disinformazione e gli effetti che può provocare sull’opinione pubblica sin dall’inizio della guerra – Meta, Twitter, Google e altri ancora hanno provato ad arginare la disinformazione di siti affiliati allo Stato e di siti poco affidabili -, è evidente la scelta di utilizzarla come arma. I numeri sono chiari e i più recenti (datati 27 aprile 2023) ci arrivano da NewsGuard: «NewsGuard ha identificato 372 siti con disinformazione su Russia e Ucraina e sta monitorando le principali false narrazioni sulla guerra». La maggioranza dei siti sono in inglese ma non manca la disinformazione in merito al conflitto in francese, tedesco, italiano più altri siti (52 sul totale) che diffondono storie false in altre lingue.

Le fake news più recenti messe al centro della disinformazione propagandistica? Quella diffusa in Occidente secondo cui la Russia non starebbe rubando gran all’Ucraina né bloccando le spedizioni, quando invece ci sono indagini e inchieste basate su testimonianze che provano come sia così. Tra le bufale più note ci sono quella del massacro di Bucha che sarebbe stata tutta una messinscena (e l’Italia è stato il Paese che ha maggiormente alimentato, nel dibattito social, la questione) o – ancora – quella del nazismo sostenuto dalle autorità di Kyiv e prevalente nella politica e nella società ucraina.

Il ruolo del social engineering nella disinformazione

Quando si parla di social engineering si intende l’utilizzo, da parte di hacker e persone con obiettivi precisi, di metodi per carpire con l’inganno informazioni. E per diffonderle anche, considerato che account social e mail bombing – per esempio – sono stati utilizzati come mezzi da ambedue gli schieramenti per mettere in cattiva luce gli altri a seconda di ciò che stava succedendo.

Ci sono state le strategie russe di disinformazione basate su botnet (abbiamo parlato di Fronton) o, ancora, account social ufficiali che hanno diffuso disinformazione (tante sono state le notizie legate a questa o quella ambasciata russa in un determinato paese bloccata su Twitter perché diffondeva informazione, con la conseguente ideazione di metodi per aggirare i blocchi).

Il potenziale della disinformazione sui social, come abbiamo potuto vedere nel corso di questo anno abbondante di conflitto, è enorme: basta che un post diventi virale e, senza le opportune verifiche che prima giornalisti e redazioni in tutto il mondo potevano fare rispetto alle veline che giungevano loro, la frittata è fatta. Il filtraggio della disinformazione è sempre più complesso e, sfruttando i social, il suo peso nel condizionare l’opinione pubblica – non solo dei paesi coinvolti direttamente nel conflitto ma anche a livello internazionale – risulta essere notevole.

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