La causa di Musk contro l’associazione che ha rivelato quel «99% dei tweet promotori di odio»

Il Center for Countering Digital Hate, celebre centro che monitora l'odio online, è stato portato in tribunale da Musk per una serie di recenti affermazioni che non gli sono piaciute

04/08/2023 di Ilaria Roncone

Cause su cause, come quella che AFP ha mosso nei confronti del Twitter di Elon Musk. Solo che stavolta è X ad accusare. L’accusato è il Center for Countering Digital Hate, un’associazione che traccia l’odio sulle varie piattaforme. Questa azione, secondo l’accusa di Musk, corrisponderebbe a una campagna diffamatoria per spingere gli inserzionisti ad allontanarsi da Twitter. Prima di ripercorrere i vari passaggi che hanno spinto poi Musk a spostare la questione in tribunale, è bene ricordare quale sia l’operato del centro contro l’odio online e il modo in  cui procede – contro tutte le piattaforme, monitorando non solo i contenuti relativi all’odio ma anche quelli relativi alla disinformazione in maniera completa e puntuale -: nel corso del tempo nel mirino del centro ci sono state tutte le Big Tech, da Google a Facebook  (e sì, anche Twitter) per le tematiche più disparate: dal cambiamento climatico al razzismo passando sulla disinformazione per le armi biologiche. Un lavoro capillare e sviluppato su più livelli, quindi, che costituisce un prezioso riscontro di come e quando le piattaforme non fanno abbastanza rispetto a tutti quei tipi di contenuti che – per loro natura – portano maggiori guadagni perché maggiormente polarizzanti e stimolatori di reazioni e interazioni.

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Come siamo arrivati alla causa al Center for Countering Digital Hate

Quello che ha portato Musk a pendere la decisione di fare causa è un recente studio del centro secondo cui X non sarebbe intervenuto in alcun modo sul 99% dei tweet presi in esame e qualificati come promotori di odio. Un numero davvero impressionante che, ovviamente, evidenzierebbe un’enorme mancanza da parte della piattaforma – anche in linea, guardando al passato recente, con i licenziamenti che Musk ha fortemente voluto nel team di moderazione, come ci aveva raccontato una ex dipendente -.

Elon Musk ha bollato questa come campagna di diffamazione che punterebbe ad allontanare gli inserzionisti, arrivando fino al tribunale di San Francisco lo scorso lunedì con la richiesta – da parte di X Corp – di danni monetari non meglio specificati e di un’ingiunzione per impedire al centro di monitoraggio dell’odio online di accedere ai suoi dati. L’accusa al centro è quella di utilizzare procedure sommarie per estrarre i dati che poi presenta, definite non idonee per lo studio dei milioni di post che ogni giorno vengono pubblicati sulla piattaforma. In particolare, il CCDH avrebbe violato i termini di servizio di Twitter e le leggi federali sull’hacking facendo scraping di dati dalla piattaforma aziendale.

In particolar modo, Twitter ha spigato sul blog che «attraverso la campagna illegale, il Ccdh fa continua pressione per impedire l’accesso del pubblico alla libera espressione, lavorando attivamente per bloccare il dialogo» e che, secondo il loro parere, la ricerca del centro «contiene metriche utilizzate fuori contesto per fare affermazioni prive di fondamento su X (ex Twitter)».

La risposta del centro a quella che «sembra una teoria della cospirazione»

La risposta del Center for Countering Digital Hate non si è fatta attendere ed è arrivata tramite le parole dell’AD del centro, Imran Ahmed, che ha parlato con CNN: «Mi sembra un po’ una teoria della cospirazione – ha affermato Musk -. La verità è che Elon Musk sta cercando un motivo per incolpare noi per i suoi fallimenti come amministratore delegato perché sappiamo tutti che quando ha preso il controllo, ha lanciato il segnale del pipistrello ai razzisti e ai misogini, agli omofobi, agli antisemiti, dicendo ‘Twitter è ora una piattaforma di libera espressione’. E ora si sorprende quando si riesce a quantificare che c’è stato un conseguente aumento dell’odio e della disinformazione».

«Tutto ciò che facciamo – ha spiegato Ahmed – è tenere uno specchio alla piattaforma e chiedere loro di considerare se gli piace o meno il riflesso che vedono in essa. Quello che ha fatto il signor Musk è stato dire: “Farò causa allo specchio perché non mi piace quello che vedo”». Dopo il clamore della causa intentata, comunque, il centro contro che fa monitoraggio contro l’odio online ha ricevuto molte donazioni. L’AD ha inoltre fatto una giusta specifica: «Il motivo per cui organizzazioni come la CCDH devono affidarsi a metodologie come la nostra è che non c’è trasparenza su queste piattaforme».

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