Cosa dice la legge sui “diritti connessi” approvata in Francia nel 2019

I transalpini sono stati i primi a recepire la direttiva Copyright dell'Unione Europea. E proprio in base a quella norma, AFP ha deciso di fare causa a X

04/08/2023 di Enzo Boldi

È stato il primo Paese Europeo a recepire e a far entrare in vigore tutti quei paletti inseriti, nel maggio del 2019, all’interno della Direttiva Copyright della UE. Come spesso capita quando si tratta di rapporti con le grandi piattaforme, Parigi si è mossa prima di altri e con la sua legge sui cosiddetti “diritti connessi“, la Francia ha fatto da apripista. Ed è proprio sulla base di quella normativa, approvata il 24 luglio dello stesso anno, che ora la AFP (Agence France-Presse) ha deciso di intentare causa contro Twitter. Anzi, visti gli ultimi “aggiornamenti”, contro X.

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Nonostante i tentativi di “buttare la palla in tribuna” di Elon Musk – che ritiene “bizzarro” che una piattaforma debba versare un equo compenso agli editori -, la legge sui diritti connessi Francia pone le sue basi nel diritto europeo. Dunque, occorre (come già accaduto in passato con altre grandi aziende come Google e Meta) sedersi al tavolo delle trattative – in questo caso con AFP – e trovare un accordo in base a quanto indicato dalla normativa vigente. Altrimenti, si rischia una pesante sanzione da parte dell’Antitrust. In questo caso, quella transalpina.

Diritti connessi Francia, la legge nella causa AFP contro X

Come detto, la legge sui diritti connessi in Francia non è altro che il recepimento della Direttiva Copyright approvata dall’Unione Europea nel 2019. In particolare, il concetto alla base della causa intentata da AFP contro X si basa sui concetti espressi dagli articoli 15 e 16 della direttiva. Ma cosa prevede questa norma? Il principio è molto semplice ed è un tema che già in passato aveva sollevato delle tensioni tra gli Stati membri e le aziende Big Tech. In sintesi, le piattaforme online che utilizzano (ovvero consentono la condivisione online) contenuti protetti da copyright (dai video alle fotografie, passando per la musica per arrivare ai contenuti di tipo giornalistico) devono versare un equo compenso agli autori o, come nel caso degli organi di informazioni, agli editori (in quanto detentori del diritto d’autore).

Non esiste una quantificazione universale attorno al concetto di equo compenso, ma questa cifra viene stabilita attraverso un tavolo di confronto tra gli attori protagonisti: le piattaforme e, come nel caso AFP contro X, gli editori. Ed è proprio in base a questo principio che si snoda questa controversia. L’Agence France-Presse, infatti, sottolinea come la piattaforma guidata da Elon Musk si sia rifiutata di sedersi al tavolo di confronto necessario per «avviare discussioni sull’implementazione dei diritti connessi per la stampa». E proprio la direttiva UE sul copyright, recepita dalla Francia, impone una trattativa tra le parti per individuare i fattori necessari al fine di stabilire il valore di quell’equo compenso.

Il precedente con Google

Nonostante la risposta piccata di Elon Musk, X rischia grosso. I precedenti, infatti, mettono in evidenza come sia necessario – anche per le grandi piattaforme – adeguarsi alle direttive UE e alle leggi approvate ed entrate in vigore negli Stati membri. Ne sa qualcosa Google che nel 2021 è stata multata dall’Antitrust francese per 500 milioni di euro. Il motivo? Non aver rispettato i parametri previsti per le trattative sull’equo compenso e i diritti connessi in Francia. Dopo la sanzione, Mountain View corse ai ripari trovando accordi (come riporta la Reuters), sia con AFP che con altre testate transalpine. Stesso discorso per Meta che, solo qualche mese dopo, siglò accordi con gli editori francesi.

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