La vera storia del primo IP oscurato grazie a Piracy Shield

Si pensava che il primo intervento avesse provocato disservizi sparsi a causa di un hosting condiviso, ma le cose sono andate diversamente

02/02/2024 di Enzo Boldi

È stata rinominata la “piattaforma anti-pezzotto“, ovvero quel sistema che – sotto l’egida di Agcom – dovrebbe permettere di intercettare e oscurare (nel giro di 30 minuti) quei siti che consentono agli utenti di guardare una partita (ma anche un film o una serie tv) senza pagare l’abbonamento a quei servizi OTT che detengono i diritti di un determinato evento. E da giovedì 1 febbraio, questa soluzione è diventata attiva in tutta Italia. In attesa di sapere se e come funzionerà (oltretutto c’è stato anche un aumento delle pene, anche nei confronti degli utilizzatori), con la prossima giornata del campionato di Serie A alle porte, nella giornata di ieri si è parlato di quello che sembrava poter essere un incredibile errore generato dall’intervento del cosiddetto “Piracy shield“. Le cose, però, non sono andate così.

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Come spiegato inizialmente da Wired, poco prima delle ore 16 di mercoledì 31 gennaio, è arrivata la prima segnalazione sulla piattaforma Piracy Shield. Un alert che ha portato all’intervento immediato – nel giro dei canonici 30 minuti – e all’oscuramento di quell’indirizzo IP segnalato. Dunque, secondo la procedura prevista dalla legge. All’inizio si era parlato di un’azione che era andata a colpire un hosting condiviso: dunque, sarebbe stato oscurato un IP su cui “giravano” anche molti altri portali. E, oggi, sappiamo che questo hosting condiviso era del provider italiano Aruba. Dunque, il primo intervento stava mettendo in mostra tutte le possibili storture di questa soluzione.

Piracy shield, la storia del primo IP oscurato

La realtà era, però, ben diversa. Wired, infatti, ha corretto il tiro dopo aver ricevuto la risposta da parte di Aruba. Il provider, infatti, ha fatto sapere che si trattava di un test finale per sperimentare (prima dell’entrata in vigore ufficiale) il sistema della piattaforma Piracy shield. E quell’IP non era un hosting condiviso, ma un indirizzo ad hoc per effettuare questo test. La stessa versione è stata confermata – poco dopo – anche da Agcom (l’Autorità che, per legge, ha l’egida su questo scudo anti-pirateria). Dunque, non c’è stato nessun effetto a cascata. Nessun altro servizio o portale è “caduto” sotto la scure della “caccia ai pirati”.

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