Il ritorno di Meta non significa il ritorno automatico di Facebook e Instagram in Cina

Le tensioni tra il Ceo di Menlo Park e Pechino sono ancora molto elevate. E in passato lo stesso Zuckerberg aveva escluso che le piattaforme potessero tornare a essere attive nel Paese

13/11/2023 di Enzo Boldi

Business is business. Pecunia non olet. E non è tutto oro quello che luccica. Questi tre modi di dire rappresentano al meglio la situazione del ritorno di Meta in Cina. L’azienda di Mark Zuckerberg, infatti, avrebbe stretto un accordo commerciale con Tencent, la holding fondata 1998 da Ma Huateng, per la produzione dei visori per la realtà virtuale. A riportare la notizia è stato l’affidabile Wall Street Journal e in molti hanno immediatamente collegato questo presunto (ancora non ufficiale) contatto con un ritorno (contestuale) delle piattaforme social sviluppate e gestite da Menlo Park (Facebook, Instagram e Whatsapp) a disposizione dei cittadini cinesi. Ma le cose non sembrano – almeno per il momento – essere collegate.

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Partiamo da un assunto: il divieto dei social di Meta (in origine solamente Facebook) a operare in Cina risale al 2009, quando il governo di Pechino bloccò la piattaforme social nel suo territorio con l’accusa di aver consentito agli uiguri di organizzare manifestazioni di piazza e proteste nella città di Urumqi. Il social, dunque, era accusato di non aver limitato quei contenuti, favorendo le sommosse. Da quei giorni, l’ecosistema digitale cinese è diventato ancor più stringente e chiuso nei confronti di “attori” stranieri del mondo tech.

Meta in Cina, ma non è detto che tornino anche i social

Oggi, questo possibile accordo con Tencent sembra segnare un punto di svolta. Ma il ritorno (parziale) di Meta in Cina non significa (automaticamente) che Facebook, Instagram e Whatsapp potranno nuovamente sbarcare nella Terra del Dragone. Perché dopo i fatti del 2009, Mark Zuckerberg (che nel frattempo ha ampliato il proprio impero imprenditoriale), ha spesso criticato le operazioni di censura del governo di Pechino. Famoso, per citare solo un esempio, il suo lungo discorso letto alla Georgetown University il 17 ottobre del 2019. Questi alcuni passaggi relative ad accuse mosse al governo cinese:

«La Cina sta costruendo la propria Internet incentrata su valori molto diversi e ora sta esportando la propria visione di Internet in altri paesi. Fino a poco tempo fa, Internet in quasi tutti i paesi al di fuori della Cina era caratterizzato da piattaforme americane con forti valori di libertà di espressione. Non vi è alcuna garanzia che questi valori prevalgano. Dieci anni fa, quasi tutte le principali piattaforme Internet erano americane. Oggi, sei dei primi dieci sono cinesi». 

Nel prosieguo del suo discorso, ha fatto riferimento ad alcuni aspetti civili: in molti casi, i cittadini cinesi utilizzavano le app e le piattaforme di Meta per denunciare abusi. E per questo il governo avrebbe deciso di silenziare quei social, dando spazio – secondo quanto detto da Zuckerberg – a TikTok, su cui è possibile un controllo diretto da parte di Pechino (anche in termini di censura):

«È uno dei motivi per cui non gestiamo Facebook, Instagram o gli altri nostri servizi in Cina. Ho voluto i nostri servizi in Cina perché credo nella connessione del mondo intero e ho pensato che avremmo potuto contribuire a creare una società più aperta. Ho lavorato duramente perché ciò accadesse. Ma non siamo mai riusciti a raggiungere un accordo su ciò che sarebbe necessario per operare lì, e non ci hanno mai lasciato entrare. E ora abbiamo più libertà di parlare apertamente, difendere i valori in cui crediamo e lottare per la libera espressione in tutto il mondo». 

Dunque, niente più social di Meta in Cina per questi motivi. Ma i rapporti commerciali non si sono mai conclusi. Basti pensare che nel corso di questa lunga guerra fredda tra la holding e il governo di Pechino, sono proseguiti gli accordi pubblicitari: molte aziende cinesi hanno “collaborato” con Menlo Park per l’acquisto di spazi pubblicitari sulle piattaforme.

Tensioni ataviche

Business is business, dunque. Ma le tensioni sono proseguite negli anni, nonostante un incontro ufficiale tra Xi Jinping e Mark Zuckerberg nel 2017, il Ceo di Meta ha proseguito nel suo scontro frontale contro il governo (e i suoi derivati) di Pechino. Solo nell’agosto scorso, infatti, la holding di Menlo Park ha annunciato la chiusura di quasi 9mila (tra profili e pagine) account legati a un’ampia campagna di disinformazione proveniente dalla Cina. Secondo le accuse, l’operazione “Spamouflage” era iniziata nel 2018 ed era collegata – su moltissime piattaforme, non solo Instagram e Facebook – alle forze dell’ordine cinesi. Ed è questo uno dei tanti aspetti che rende, almeno per il momento, quasi impossibile un ritorno dei social di Meta in Cina. Il resto – ovvero gli accordi commerciali – sono business.

(Foto IPP/ Alex Edelman via ZUMA Wire)

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