Le Big Tech hanno deciso di autoregolarsi in Nuova Zelanda: niente più contenuti nocivi

Il quadro che le società hanno concordato è chiamato Aotearoa New Zealand Code of Practice for Online Safety and Harms

25/07/2022 di Clarissa Cancelli

Le compagnie Big Tech sono d’accordo: si autoregoleranno per ridurre i contenuti nocivi in ​​Nuova Zelanda. La decisione è arrivata lunedì 25 luglio, quando le grandi aziende tecnologiche hanno concordato di limitare tali contenuti, considerati per l’appunto dannosi: una mossa che, secondo i critici, avrebbe evitato l’alternativa della regolamentazione del governo. A riportare la notizia è Reuters.

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Le Big Tech d’accordo sul ridurre i contenuti nocivi in Nuova Zelanda

Meta Platforms Inc (META.O), Google di Alphabet (GOOGL.O), TikTok, Amazon.com Inc (AMZN.O) e Twitter (TWTR.N) hanno firmato un codice di condotta, ha affermato Netsafe, che fungerà da autoregolamentazione. «Ci sono troppe vittime di bullismo, molestie e abusi online, motivo per cui l’industria si è mobilitata per proteggere gli utenti», ha dichiarato il capo di Netsafe Brent Carey. Il gruppo di lobby del settore NZTech sarà responsabile del rispetto degli obblighi delle aziende, che includono la riduzione dei contenuti dannosi online, la segnalazione di come lo fanno e il supporto della valutazione indipendente dei risultati. «Ci auguriamo che il quadro di governance gli consenta di evolversi insieme alle condizioni locali, rispettando allo stesso tempo i diritti fondamentali della libertà di espressione», ha affermato l’amministratore delegato di NZTech Graeme Muller. Meta e TikTok hanno dichiarato di essere entusiasti del codice che rende le piattaforme online più sicure e trasparenti. Il quadro che le società hanno concordato è chiamato Aotearoa New Zealand Code of Practice for Online Safety and Harms.

Altri provvedimenti presi dalle piattaforme

Non è la prima volta che le Big Tech decidono di prendere provvedimenti in rispetto alle regole di un Paese. Negli Emirati Arabi Uniti Amazon ha iniziato a bloccare prodotti e risultati di ricerca relativi alla comunità LGBT. E questo perché lì, le persone LGBT sono legalmente perseguitate.  Secondo il Dipartimento di Stato, l’omosessualità è, infatti, criminalizzata negli Emirati e punibile con multe e reclusione. Il “Restricted Products team” ha quindi rimosso le singole schede dei prodotti e le ricerche di termini come “lgbtq”, “Pride”, “closeted gay”, “transgender flag”, “queer brooch” e “chest binder for lesbians” ora non danno alcun risultato negli Emirati Arabi Uniti. Amazon ha giustificato così il provvedimento: «Come azienda, rimaniamo impegnati per la diversità, l’equità e l’inclusione e crediamo che i diritti delle persone LGBTQ+ debbano essere protetti. Con i negozi Amazon in tutto il mondo, dobbiamo anche rispettare le leggi e i regolamenti locali dei paesi in cui operiamo». Altri esempi ancora: Netflix ha ritirato programmi in Arabia Saudita e censurato scene in Vietnam, Apple ha archiviato i dati dei clienti su server cinesi nonostante i problemi di privacy e l’anno scorso Google ha rimosso un’app per un leader dell’opposizione russa dopo aver affrontato una minaccia di perseguimento penale.

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