Le leggi per punire l’istigazione a delinquere (anche via social) già ci sono

Il governo "promette" un intervento sul codice penale, inserendo una nuova fattispecie di reato che - come confermano sentenze di Cassazione - già esiste

20/06/2023 di Enzo Boldi

«E allora sì, propaganda, propaganda. La risposta ad ogni tua domanda». Il ritornello del brano cantato da Fabri Fibra e dal duo Colapesce Dimartino è l’esatto emblema della politica attuale: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Dunque, cavalcando l’onda della legittima indignazione per quanto accaduto la scorsa settimana a Casal Palocco – quartiere nella zona Sud-Ovest di Roma, a pochi chilometri dal litorale di Ostia -, ecco che il governo Meloni non ha perso tempo annunciando un’iniziativa (di cui però ancora non vi è alcuna traccia testuale) legislativa per andare a modificare il codice penale, inserendo la fattispecie di reato di “istigazione a delinquere via social“. Peccato per l’esecutivo, che il sistema normativo italiano (e non solo) preveda già una pena per chi si macchia di atti che rischiano di provocare emulazione, anche attraverso le piattaforme digitali.

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Ovviamente, la tragedia avvenuta in via di Macchia Saponara ha scosso tutti. Così come la storia del “cattivo esempio” fornito da quei giovani creator di YouTube – TheBorderline – che sulla piattaforma si sperticavano (monetizzando, almeno fino a ieri) in sfide e challenge per attirare un numero di follower sempre più elevato. Esempi sbagliati, nati per emulare – a loro volta – profili simili come quello dell’americano MrBeast. In attesa di avere conferme sulle dinamiche che hanno portato a quello scontro tra la Lamborghini Urus (a noleggio) e la Smart ForFour su cui viaggiava, insieme alla madre e alla sorellina, il piccolo Manuel (5 anni) deceduto poco dopo l’impatto, ecco che la politica ha ripreso la sua attività di propaganda usando come cassa di risonanza un fatto di cronaca.

Istigazione a delinquere via social, le leggi già ci sono

Ad annunciare la volontà di introdurre la fattispecie di reato di “istigazione a delinquere via social” è stato il leghista Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia del governo Meloni. In un’intervista rilasciata a il Messaggero, l’esponente del Carroccio non ha fornito molti dettagli. In assenza, dunque, del testo della presunta proposta di legge, possiamo limitarci a prendere spunto da quei brevi stralci di dichiarazione: modifica dell’articolo 414 del codice penale (inserita all’interno su una legge contro le baby gang) con una pena da uno a cinque anni per tutti quei soggetti (maggiorenni o minorenni) che si macchiano di istigazione a delinquere, anche attraverso le piattaforme digitali. Peccato che il codice penale già contenga questa fattispecie. E, inoltre, anche il Digital Service Act (DSA) approvato nell’ottobre del 2022 dall’Unione Europea indica le responsabilità delle piattaforme nel monitoraggio, la verifica e l’eventuale rimozione dei contenuti illeciti.

L’articolo 414 del Codice Penale

L’inconsistenza della proposta – e i fini propagandistici – della proposta sventolata ai venti della stampa da Ostellari è rappresentata proprio dall’articolo 414 del codice penale, quello che il sottosegretario alla Giustizia vorrebbe far modificare. Ma siamo sicuri sia necessario? Leggiamo il testo, partendo dai primi tre commi in cui si spiega in cosa consista questa fattispecie di reato:

«Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione:
1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.
Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1».

Leggendo questa prima parte dell’articolo 414, sembra che si parli solamente in linea generale, senza specifiche ai social. In realtà, la parte finale pone esattamente le basi – con tanto di aumento della pena – giuridiche dell’istigazione a delinquere (e apologia) via social:

«Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici».

“Strumenti informatici o telematici”, ovvero (anche) le piattaforme social. Dunque, già questo smonta la trovata propagandistica degli esponenti del governo che vorrebbero inserire una nuova fattispecie di reato per coprire – penalmente – un reato già punito. Infatti, queste aggravanti “telematiche e informatiche” sono state integrate all’articolo 414 del codice penale grazie alla legge 43/2015. Non è un caso, per esempio, la sentenza della Corte di Cassazione nei confronti di alcuni soggetti residenti in Italia che avevano pubblicato sui social video e immagini di propaganda jihadista. E sono stati condannati proprio in base all’articolo 414 del codice penale.

Il Digital Service Act

La politica, anche dall’opposizione, si è scagliata anche contro YouTube, ritenendo la piattaforma responsabile – quindi punibile – per non essere intervenuta anticipatamente con la rimozione dei contenuti dei TheBordeline, ovvero quelli relativi alle sfide e alle challenge. Filmati che, come abbiamo già approfondito la scorsa settimana, vanno contro le stesse linee guida di YouTube. E per quel che riguarda le “responsabilità”, l’Europa ha approvato nell’ottobre del 2022 il Digital Service Act. E il regolamento prevede (già) che le piattaforme debbano intervenire per rimuovere contenuti illeciti (oltre che le fake news), compresi quelli di istigazione a commettere un reato contro qualcuno e qualcosa. Infine, le autorità giudiziarie hanno la possibilità di intervenire – come già accaduto in diverse occasioni nel passato più o meno recente – direttamente sulle piattaforme, obbligandole a rimuovere determinati contenuti.

Dunque, la proposta del governo rientra in quell’alveo che continua ad alimentare la politica italiana (ma anche all’estero la situazione non è migliore): utilizzare ogni qualsivoglia evento – anche di cronaca nera – per proporre iniziative al limite del paradossale. Per dimostrare agli elettori e cittadini di muoversi, anche stando fermi. Eppure sarebbe bastato aprire il codice penale per capire che la fattispecie di reato di “istigazione a delinquere via social” esistesse già, fin dal 2015. Leggi che ci sono, basta applicarle senza cavalcare l’indignazione popolare.

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