Da MrBeast a TheBorderLine, certe challenge riflettono «un problema di punti di riferimento»
Partendo dall'analisi di MrBeast, figura a cui gli youtuber di TheBorderLine si ispirano, abbiamo fatto con Ivano Zoppi di Fondazione Carolina una riflessione su come genitori e figli stanno su internet oggi
15/06/2023 di Redazione Giornalettismo
È il secondo canale YouTube con più iscritti (160 milioni). I contenuti che propone ai suoi affezionati spettatori variano tra le challenge (alcune anche paradossali ed estreme), i giochi di prestigio e spese al di fuori di ogni concezione più logica. Nel 2021, attraverso le visualizzazioni dei suoi video (oltre 10 miliardi) ha guadagnato la cifra record di 54 milioni di dollari. Parliamo di MrBeast, il personaggio a cui gli YouTuber italiani di TheBorderline dicono di essersi ispirati per dare vita al loro canale sulla piattaforma social e all’azienda che hanno creato nel febbraio del 2022. Una tipologia di emulazione rispetto alla quale abbiamo raccolto anche le parole (e la preoccupazione) di Ivano Zoppi, Segretario Generale Fondazione Carolina.
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Sul canale YouTube di TheBorderline, il loro riferimento a MrBeast non è per nulla celato. Una vera e propria fonte di ispirazione da seguire e “imitare” per realizzare un qualcosa che non ha precedenti nel nostro Paese: «La nostra fonte di ispirazione è il grande MrBeast che in America ha costruito un impero attraverso questo tipo di video, ispirandoci a lui porteremo per la prima volta in Italia contenuti simili, che potranno essere portati avanti solo attraverso il vostro grande supporto». Ma di chi stiamo parlando? Il suo vero nome è Jimmy Donaldson, americano classe 1998, che fin da quando aveva 12 anni ha iniziato a interfacciarsi con YouTube realizzando video di scarso successo. Ma solo all’inizio, perché nel 2017 ci fu l’inizio dell’ascesa con la pubblicazione del video “I count To 100.000”.
MrBeast, a chi si ispirano i giovani di TheBorderline
Con il passare degli anni, il suo successo è andato di pari passo con le classiche estremizzazioni social. I suoi contenuti sono diventati sempre più nel segno delle sfide e delle challenge, attirando un’enorme quantità di pubblico. Basti pensare che nel 2021 aveva 70 milioni di iscritti, nel 2022 toccò quota 100 milioni e oggi ne conta oltre 160 milioni. Numeri che sono combaciati non solo con l’aumento della popolarità in base ai video e alle challenge, ma anche con iniziative benefiche come la raccolta fondi #TeamTrees per sostenere la Fondazione Arbor Day. Un progetto che portò a una donazione di 22 milioni di dollari.Numeri impressionanti che derivano anche da contenuti video paradossali e challenge. Perché nella sua ancor breve carriera (oggi è anche imprenditore, grazie a una catena di hamburgerie) non sono mancate le polemiche. Alcuni hanno criticato un modello poco educativo nei confronti dei giovani (come nel video in cui si è fatto letteralmente seppellire sotto terra per 50 ore), altri hanno protestato per aver perso discrete quantità di soldi dopo aver seguito uno schema per le criptovalute da lui suggerito. Insomma, questo è il riferimento a cui ambiscono gli YouTuber italiani di TheBorderline.
«Più faccio qualcosa di stupido, più faccio qualcosa di estremo e più ricevo like»
Le parole di Ivano Zoppi rivelano non poca preoccupazione espressa da chi, per mestiere, tutti i giorni ha scelto di occuparsi dei pericoli che i più giovani corrono calati nei meccanismi dell’internet di oggi: «Abbiamo ricevuto telefonate preoccupate da genitori, in seguito alla vicenda di Casal Palocco, che sentendo la parola challenge sono stati presi dal panico. Da un lato per le macchine che vengono noleggiate e challenge che vengono condivise, dall’altro perché c’è questa preoccupazione che salta fuori quando accade qualcosa, un panico diffuso e generalizzato. Il problema è che, ancora una volta, si dimostra il fatto che c’è una mancanza di percepito tra quello che è il virtuale – che succede di là – e quello che accade di qua. Mancanza di percepito perché non si capisce che tutto quello che accade di là ha sempre delle conseguenze di qua. Purtroppo, in questo caso, tragiche».
«C’è sempre – prosegue Zoppi parlando a Giornalettismo – la ricerca dell’esserci, dell’esibirsi, la rincorsa social ai like e alle gratificazioni. Più faccio qualcosa di stupido, più faccio qualcosa di estremo e più ricevo like, che è quello che mi è sembrato essere il mood di questi youtuber». L’azienda che hanno creato «vive sulle visualizzazioni, sulla monetizzazione delle visualizzazioni: quindi più faccio visualizzazioni… Si tratta di un meccanismo perverso, no? Perché spinge questi che hanno l’azienda ad alzare l’asticella, a sposarsi sempre più verso qualcosa di pericoloso; chi invece li emula, chi li guarda e ambisce a diventare come loro – intanto – non ci diventa perché, come sappiamo bene, solo un caso su tantissimi può diventare un vero influencer. Dall’altro lato, però, metti a rischio la tua vita. Per cosa?».Un ragionamento che è vero anche per loro che, prima di essere youtuber, erano i ragazzi influenzati – per loro stessa ammissione – da MrBeast. «La sfida più grande, forse, è accorgersi che c’è una vita da vivere e non una vita da inventarsi all’interno dei social», conclude il ragionamento Zoppi.
Una riflessione necessaria su genitori e figli
Al di là del caso specifico, Zoppi ci lascia con una riflessione sul ruolo dei genitori e sull’autorevolezza rispetto ai figli ai tempi dei mille social e delle mille piattaforme: «C’è una fascia di età di ragazzi che cerca davvero di mettersi in mostra e, dall’altra parte, una fascia di genitori che su questi ragazzi non ha nessun controllo e che entra nel panico quando succedono queste cose. E tu cosa gli spieghi? State più vicini ai vostri figli, state attenti, parlateci e ragionateci: se il vostro atteggiamento è sempre quello di avere il cellulare tra le mani…».
«Perché poi – riferisce il Segretario Generale di Fondazione Carolina – abbiamo questa generazione di genitori che fa esattamente quello che fanno i figli. Perché fa i video da pubblicare su TikTok, perché fa i Reel, perché fa le storie, perché cerca i like: c’è un problema di punti di riferimento. Se prima c’erano due pedate nel sedere, ora rischi che il genitore ti metta il like alle sciocchezze che fai».