C’entra la blacklist di Meta con i ban su Instagram?

Quel documento trapelato nel 2021 potrebbe essere uno degli elementi che, oggi, sta portando alla limitazione di alcuni profili social

18/10/2023 di Enzo Boldi

Due anni fa esatti, Giornalettismo si trovò a parlare di una lista nera di Facebook: un documento all’interno del quale erano inseriti nomi di individui e organizzazioni etichettate come pericolose e, per questo motivo, che non potevano avere accesso alla piattaforma. Da quell’ottobre del 2021 moltissime cose sono accadute in giro per il mondo: dagli strascichi della pandemia Covid, all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia fino ad arrivare alla recrudescenza di un conflitto irrisolto da anni a Gaza. Proprio quest’ultimo evento ha riportato alla mente quella blacklist di Facebook (ora Meta) in cui compare più volte il nome di Hamas.

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Quel documento è venuto alla luce il 12 ottobre del 2021, quando The Intercept rese pubblico un file trapelato dalle stanze di Menlo Park in cui comparivano oltre 4mila nomi inseriti in questa lista nera. All’epoca dei fatti, Giornalettismo aveva analizzato quel file andando a scovare i “nomi italiani” presenti. Oggi, vista la situazione geopolitica e la denuncia di moltissimi attivisti che utilizzano i social di Meta, il documento trapelato sembra poter essere la base (ma non l’unica) dei ban e della limitazione dei contenuti avvenuti, in modo particolare, su Instagram.

Blacklist Meta e il caso dei ban di Instagram

Piccola doverosa premessa: nei giorni scorsi, anche dopo le sollecitazione da parte della Commissione europea, Meta ha pubblicato un aggiornamento della propria policy con un focus specifico sul conflitto in corso a Gaza. Di fatto, è stato istituito un team specializzato (composto da persone che parlano fluentemente israeliano e arabo) per poter accelerare le procedure di monitoraggio e rimozione di contenuti etichettati come “pericolosi”. All’interno della comunicazione su questi cambiamenti, c’è una dichiarazione che sembra essere piuttosto in linea con quel che sta accadendo (oggi più di ieri) con in ban su Instagram di cui stiamo parlando:

«Hamas è designato dal governo degli Stati Uniti sia come organizzazione terroristica straniera che come terrorista globale appositamente designato. È inoltre indicato nella politica di Meta su organizzazioni e individui pericolose. Ciò significa che Hamas è bandito dalle nostre piattaforme e rimuoviamo gli elogi e il sostegno sostanziale nei suoi confronti quando ne veniamo a conoscenza, pur continuando a consentire discorsi sociali e politici, come notizie, questioni relative ai diritti umani o accademici, neutrali e di condanna». 

Parole che sono in linea con quel documento di cui avevamo parlato nell’ottobre di due anni fa. Quella blacklist Meta da cui si attinge (ma non solamente lì) per decidere chi può stare sui social gestiti e sviluppati dalla holding di Mark Zuckerberg. E parliamo di Hamas, soggetto che viene citato ben 46 volte all’interno di quel file (sia come “contenitore” di altri gruppi etichettati come “organizzazioni terroristiche”, sia come gruppo di cui fanno parte alcuni soggetti che non possono accedere a Instagram e Facebook con la loro identità).

Perché parliamo di questa blacklist Meta legata ai ban che alcuni utenti pro-Palestina (attenzione, non pro-Hamas)? Il nesso sembra essere piuttosto logico: dal 7 ottobre, giorno del raid di Hamas, e nei giorni susseguenti con la reazione “militare” di Israele, il dibattito si è ulteriormente polarizzato. Di fatto, dunque, le denunce nei confronti di Netanyahu (per fatti del passato, anche recente, e legati all’attualità stringente) si sono diffuse in particolare su Instagram. Dunque, come un sillogismo fallace, chi attacca verbalmente l’atteggiamento (storico) di Israele viene etichettato come “giustificatore” delle azioni di Hamas. Come detto, si tratta di una correlazione che nella maggior parte dei casi è completamente errata.

Il caso del report del 2021

E qui torniamo a un report del 2021, commissionato da Meta alla BSR (Business for Social Responsibility). Nonostante la commissione, si tratta di un rapporto indipendente in cui sono emersi moltissimi aspetti critici nella gestione delle piattaforme del dibattito su Gaza e sulla Palestina. I ricercatori hanno evidenziato come la moderazione dei contenuti dannosi (hate speech e minaccia) non sia avvenuta in modo paritetico e abbia colpito maggiormente i sostenitori della Palestina. Quelli pro-Israele, infatti, ha subito “sanzioni” social in numero inferiore. Queste evidenze, poi, sono passate anche sotto l’occhio dell’Oversight Board di Meta e l’azienda si era impegnata a correggere questa problematica per evitare di ricadere nello stesso errore.

Oggi, però, ci troviamo di fronte a una stessa misura non paritetica all’interno di questa gestione di un dibattito infuocato. Meta ha spiegato, attraverso le parole di un portavoce, che questi ban di Instagram non sono legati a nessuna decisione dall’alto (quindi, secondo loro, neanche a quella blacklist trapelata nel 2021). Si tratterebbe – sempre a detta loro – di un bug del sistema.

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