Il ban di Instagram sui contenuti relativi a Gaza: costa sta succedendo

Le segnalazioni di giornalisti e divulgatori in merito abbondano, Meta ha affermato di aver risolto il «bug» ma - a ben vedere - il problema è ancora presente

18/10/2023 di Ilaria Roncone

Della questione ban Instagram Palestina si parla, ormai, da diversi giorni. Si tratta di un problema individuato sia da giornalisti e divulgatori stranieri che italiani che è stato segnalato a più riprese e del quale si discute cercando, tra le altre cose, di fornire soluzioni pratiche. Ripercorrendo le varie segnalazioni, nella giornata di oggi puntiamo a spiegare come si sta muovendo l’ecosistema social network e Big tech all’interno di questo conflitto portando esempi pratici e ripercorrendo la storia di un ban che, è importante ricordarlo, non inizia oggi – quando i riflettori di tutto il mondo sono puntati non solo sui fatti che avvengono nella Striscia di Gaza ma anche su come vengono trattati dagli account che ne parlano, a partire da quelli ufficiali legati a Israele -.

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Ban Instagram Palestina, le segnalazioni di chi ne parla

I segnali di una strozzatura repentina e molto rapida dei contenuti che parlano di Palestina e Hamas e, in particolar modo, di quelli che si schierano apertamente a favore degli abitanti della Striscia di Gaza sono evidenti. Sulla stampa estera se e parla da un paio di giorni, in Italia abbiamo potuto notare segnalazioni in questo senso già da sabato 14 ottobre. Partiamo da un presupposto: sui social vengono condivise moltissime informazioni sulla questione e, in molti casi, viene fatta propaganda. Il punto, però, è che le limitazioni vengono registrate anche per contenuti di informazione pura, quella fatta – per esempio – da coloro che sono sul posto e che raccontano quello che stanno vedendo, facendo anche appelli (come vedremo da un post inserito nell’articolo in seguito) per la donazione di sangue a persone ferite che necessitano di aiuto.

Riportiamo alcuni casi citati in un articolo di approfondimento di Mashable (casi che trovano corrispondenza nell’ecosistema Instagram nostrano nella raccolta di segnalazioni che abbiamo fatto in redazione). Di punto in bianco, i contenuti che parlano di Palestina e di Gaza hanno cominciato a registrare un coinvolgimento molto basso. Citiamo il caso di Jess White che, su Instagram, ha postato la poesia di uno scrittore palestinese nelle sue storie che trattava della morte dei bambini durante le guerre: «Di solito ottengo 1.000 visualizzazioni sulle Storie e ne ho avute solo tre in 10 minuti quando ho condiviso un post in cui la località era Gaza», ha spiegato l’utente.

Un altro utente ha segnalato come, dopo aver pubblicato una serie di contenuti a favore della questione Palestinese – la maggior parte dei quali ha avuto una reach minima – non ha più potuto pubblicare Stories per 24 ore. La testimonianza di un altro utente evidenzia come i link per effettuare donazioni a Gaza o altri enti benefici legati ai palestinesi sono stati resi inaccessibili. Molti hanno notato che, tornando a parlare di altre tematiche, i numeri tornavano simili a prima.

Portiamo qualche esempio di segnalazioni nel contesto italiano. Partiamo con Leila Belhadj Mohamed, avvocata esperta di geopolitica che parla di tematiche relative a Palestina e Israele da prima dell’ultimo inasprimento del conflitto. In questi giorni, per aggirare il ban, ha pubblicato storie come questa in modo da proteggere l’account dopo che le è stato segnalato che, cercando il suo account su Instagram, non si ottenevano risultati.

ban instagram palestina

Sono anche i giornalisti a segnalare che qualcosa non va. Di seguito le condivisioni relative al problema riscontrato di Youssef Siher, che scrive per Il Fatto Quotidiano, e di Manisha Ganguly, corrispondente di inchiesta per il Guardian.

ban instagram palestina

 

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Quest’ultima segnalazione, in particolare, evidenzia come il blocco di traffico imposto da Instagram rispetto ai contenuti su Gaza le abbia impedito di diffondere un appello per la donazione del sangue necessario a salvare due giornalisti feriti sul campo.

La (brevissima) risposta di Meta allo shadowban

Spieghiamo, in breve, cosa vuol dire vedersi limitare l’account o essere in shadowban. Un account particolarmente colpito è quello di Karem Rohana (che avevamo precedentemente intervistato in occasione della pubblicazione del suo video virale su Giulia De Lellis in Israele), che si è visto bloccare il suo profilo ufficiale e ha dovuto crearne un altro per tornare a condividere la sua esperienza del conflitto bloccato a Gerusalemme. Quello della perdita del profilo è il caso più eclatante.

Ci sono molte altre azioni che il social può compiere per limitare un account e la visibilità di specifici posto, che smettono di essere raccomandati nella pagina Esplora, nel Feed e nei Reels o che non si possono più trovare nella barra di ricerca quando si digita il loro nome. Cosa sta succedendo e perché? La versione di Meta è arrivata domenica scorsa. Andy Stone, direttore delle comunicazioni, ha affermato che si tratterebbe di «un bug che ha avuto un impatto su tutte le storie che hanno ricondiviso i post di Reels e Feed». Una bug che, a detta sua, «ha colpito gli account di tutto il mondo e non ha nulla a che fare con l’argomento del contenuto, e lo abbiamo risolto il più rapidamente possibile». Nonostante la situazione dovrebbe essere rientrata già lo scorso weekend, però, sono ancora molti gli utenti che segnalano limitazioni dei loro contenuti dal momento in cui condividono informazioni su Gaza o anche solo se commentano un post (come evidenziato nello screen di uno scrittore che si sta occupando della questione e che, in Italia, viene menzionato tra i profili che dovrebbero essere seguiti per capire cosa sta succedendo).

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Le possibili ipotesi su quello che sta succedendo

Una premessa: comprendere quello che in un ecosistema che non sappiamo come funziona – a partire dagli algoritmi che lo governano – non è facile. Quello che si può fare è prendere in considerazione tutto (dalle dichiarazioni ufficiali delle piattaforme a quello che chi le piattaforme le abita sta sperimentano) per fare un punto della situazione. Già nel settembre 2022 è stato pubblicato un rapporto indipendente in riferimento alla copertura della crisi israelo-palestinese del 2021, quando molti account si sono visti limitare i contenuti o sono stati bloccati anche solo per aver condiviso informazioni provenienti da fonti accreditare che nulla avrebbero potuti avere a che fare con la propaganda. Nel report, effettivamente, emerge come Meta abbia applicato una moderazione molto più serrata per i contenuti in lingua araba rispetto a quelli in lingua ebraica anche quando si trattava di incitamento all’odio o di fake news.

C’è da notare anche – e di questo abbiamo parlato in un monografico della scorsa settimana – che l’Unione europea ha chiamato a rapporto i capi delle varie piattaforme sulle quali si diffondono informazioni sul conflitto (X, le piattaforme di Meta e TikTok) e la reazione di Zuckerberg è stata quella di assicurare all’Ue che avrebbe proceduto nella moderazione dei contenuti in maniera puntuale per rispettare il neonato DSA.

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