Meta citato in giudizio in Kenya con l’accusa di sfruttamento

Meta e Sama rischiano grosso in Kenya per presunte cattive condizioni di lavoro

11/05/2022 di Martina Maria Mancassola

Questa non è, di certo, la prima causa contro Meta. Poco tempo fa, vi abbiamo raccontato dell’azione legale della madre di una undicenne morta suicida contro Meta e Snapchat, e più di recente quella del Texas contro Meta per il sistema di riconoscimento facciale accantonato lo scorso novembre. Oggi ad agire contro il colosso americano dei social media Meta e Sama – il suo principale subappaltatore per la moderazione dei contenuti in Africa -, vengono accusati di sfruttamento lavorativo e rottura dei sindacati. Lo studio legale Nzili e Sumbi Advocates, che rappresenta Daniel Motaung, ex moderatore dei contenuti e informatore di Facebook presumibilmente licenziato per aver indetto uno sciopero nel 2019 e aver tentato di sindacalizzare i dipendenti del subappaltatore, che ora agisce contro le società, ha dichiarato nella causa che Meta e Sama in Kenya «hanno sottoposto gli attuali ed ex moderatori dei contenuti al lavoro forzato e alla tratta di esseri umani per lavoro».

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Causa contro Meta e Sama in Kenya: un ex moderatore di contenuti di Sama agisce contro le società per cattive condizioni lavorative

Nella domanda, lo studio legale ha sostenuto che Sama ha anche svolto un «processo di reclutamento ingannevole» aprendo posti vacanti che non davano alcuna indicazione circa la natura dell’attività lavorativa che i candidati selezionati avrebbero svolto. I moderatori dell’hub di Nairobi provengono da diversi paesi, tra cui Etiopia, Uganda e Somalia, e Motaung è del Sud Africa. Lo studio legale ha domandato un risarcimento finanziario per conto dei moderatori precedenti ed esistenti; non solo, perché vuole anche che Sama e Meta vengano obbligati ad interrompere la rottura dei sindacati e a fornire supporto per la salute mentale ai lavoratori danneggiati. I sostenitori di Nzuli e Nsambi – nel caso depositato davanti alla Corte –  hanno affermato che: «Le diverse descrizioni (agenti del call center, agente e moderatore dei contenuti) per la posizione di moderatore dei contenuti sono ingannevoli e progettate per indurre i candidati ignari a diventare inconsapevolmente moderatori dei contenuti di Facebook. I richiedenti che hanno risposto alla richiesta di “agenti” sono stati particolarmente ingannati». I moderatori dei contenuti, infatti, sarebbero stati anche soggetti a rapporti di lavoro non leali e non avrebbero ricevuto un adeguato supporto per la loro salute mentale. Inoltre, Sama avrebbe permesso il mantenimento di un «ambiente di lavoro tossico» che avrebbe impedito ai moderatori di condividere la natura del lavoro e le loro esperienze in Sama con terze parti, compresi i dipendenti di Meta.

Lo studio legale Nzili e Sumbi Advocates ha affermato che: «Gli intervistati (Meta e Sama) hanno creato intenzionalmente un ambiente tossico nel loro ufficio di Nairobi. Questo è progettato per impedire ai moderatori dei contenuti di Facebook di trasmettere le loro lamentele». Lo scorso marzo anche due ex moderatori di TikTok avevano fatto causa alla piattaforma per «trauma psicologico». Infatti, la piattaforma veniva citata in giudizio – insieme alla sua proprietaria ByteDance – per non aver fornito adeguato sostegno psicologico a due loro revisori. L’attività del moderatore è particolarmente stressante perché consiste nel setacciare i post social su tutte le sue piattaforme, compreso Facebook, per rimuovere chi diffonde odio, disinformazione e violenza. Lo studio legale sostiene, inoltre, che la produttività dei dipendenti di Sama sarebbe stata monitorata tramite il software di Meta, per misurare il tempo sullo schermo e i movimenti dei lavoratori stessi durante l’orario di lavoro. La causa è successiva ad una storia del Time che analizza e racconta nel dettaglio come Sama abbia reclutato i moderatori con il falso pretesto che stava assumendo personale nei call center. L’annuncio pubblicato in un articolo offriva una retribuzione per i moderatori dei contenuti in Africa tanto bassa da diventare la più bassa al mondo. Così, dopo la denuncia, Sama aveva aumentato la retribuzione dei dipendenti.

Mercy Mutemi, di Nzili e Sumbi Advocates, ha dichiarato che: «I moderatori dei contenuti lottano ogni giorno per rendere Facebook più sicuro per miliardi di persone, in condizioni pericolose» e che «Con le elezioni di agosto ormai così vicine, non c’è mai stato un momento così importante per costringere Mark Zuckerberg ad assumersi la responsabilità delle persone in prima linea nella battaglia dell’informazione durante il concorso». Meta, dal canto suo, ha preso le distanze dall’accaduto, affermando che Motaung non era un suo dipendente, mentre Sama ha respinto ogni accusa. Sama ha pubblicato un post sul suo portale online dopo la denuncia, con cui smentisce qualsivoglia illecito dichiarando di essere trasparente durante il processo di assunzione e di avere una cultura che «dà la priorità alla salute e al benessere dei dipendenti»: «Comprendiamo che la moderazione dei contenuti è un lavoro difficile ma essenziale per garantire la sicurezza di Internet per tutti, ed è per questo che investiamo molto in programmi di formazione, sviluppo personale e benessere».

Foto IPP/ Alex Edelman

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