Perché la pdl di Calenda sui social non avrebbe “evitato” i fatti di Casal Palocco

Il leader di Azione ha riproposto questa iniziativa dopo l'incidente che ha visto protagonisti i TheBorderline e che ha provocato la morte di un bambino di 5 anni

20/06/2023 di Enzo Boldi

Partiamo da un presupposto fondamentale: quel che accade all’interno dei social network (e i riflessi nel “mondo reale”) è un fenomeno che deve preoccupare tutti. In molte occasioni, infatti, ci sono evidenti casi di abuso delle piattaforme stesse (in altri anche di abuso da parte delle piattaforme stesse) che meritano di essere approfonditi per evitare che problemi del passato-presente si ripropongano anche in futuro. Ma le soluzioni proposte dalla politica italiana sembrano fare acqua da tutte le parti, soprattutto perché rischiano di essere inapplicabili. Anche tecnicamente, come nel caso della proposta vietare l’utilizzo dei social ai minori di 13 anni avanzata da Carlo Calenda e Azione. E, soprattutto, quell’impianto normativo non avrebbe evitato la tragedia di Casal Palocco, costata la vita al piccolo Manuel di 5 anni.

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Come detto, il leader di Azione ha più volte fatto riferimento al caso TheBorderline negli ultimi giorni, facendo riferimento a una mancata regolamentazione delle piattaforme social.

Inoltre, sostiene che siano proprio le stesse piattaforme a dare illusioni ai più giovani, che vivono all’interno di una realtà non reale fatta di ispirazioni potenzialmente pericolose per la loro crescita.

Se l’assunto iniziale sul come i social – in molti casi – rappresentino una sorta di degenerazione dei comportamenti – con un rischio di emulazione molto elevato (esasperiamo il concetto: fanno anche pensare che per fare il politico, di qualsiasi rango, basti trascorrere molto tempo sui social) – può essere uno spunto di riflessione, tutto il resto del discorso ha numerose falle.

Carlo Calenda, il divieto social agli under 13 e TheBorderline

In particolare, Carlo Calenda fa riferimento alle responsabilità delle piattaforme. Esiste già il Digital Service Atc (approvato in Europa nell’ottobre del 2022) che impone alle aziende un controllo sui contenuti pubblicati dagli utenti (con annesso intervento in caso di contenuti illeciti). E la testimonianza arriva da un altro tweet pubblicato dallo stesso leader di Azione dopo la decisione di YouTube di non consentire più la monetizzazione alla pagina dei TheBorderline.

A questo si aggiunge la possibilità dell’autorità giudiziaria (anche quella italiana) di interfacciarsi con queste aziende per chiedere la rimozione di contenuti fuori legge. Infine, come già spiegato in un nostro precedente approfondimento, esiste già una legge (l’articolo 414 del codice penale) che evidenzia come “aggravante” l’utilizzo di piattaforme digitali e tecnologiche per diffondere “istigazione a delinquere”.

Il caso Casal Palocco

Dunque, i contorni legislativi già ci sono. Basta applicarli. E comunque, al netto dell’idea di Azione di seguire il modello francese, impedendo agli under 13 di iscriversi alle piattaforma social e ai giovani tra i 13 e i 15 anni di iscriversi solo dopo consenso dei genitori non avrebbe evitato quel che è accaduto a Casal Palocco. In attesa della chiusura delle indagini, appare evidente che la narrazione di Azione su come la loro proposta di legge avrebbe potuto evitare casi come quello di Casal Palocco. La realtà, però, è un’altra. Sì, quei video con le challenge possono essere visti anche da bambini, ma qualora fosse confermata la responsabilità di chi era alla guida della Lamborghini al momento dello schianto, appare evidente che al volante ci fosse una persona maggiorenne. Inoltre – tornando all’assunto -, resta la responsabilità delle piattaforme la moderazione e la verifica dei contenuti che devono essere in linea non solo con le linee guida della community e le leggi vigenti.

Il riconoscimento per accedere ai social

Al netto di tutto ciò, Carlo Calenda porta avanti da anni la proposta di utilizzo di un sistema di identificazione per accedere alle piattaforme social. Insomma, un modo per la age verification che, però, ha incontrato più critiche che apprezzamenti. Come spiegato da Stefano Zanero, lo pseudonimato può essere uno strumento utile per consentire a chiunque di effettuare denunce pubbliche. Inoltre, il diritto all’anonimato online è stato sancito dall’Italia con la “Dichiarazione dei diritti in Internet” approvata dalla Camera dei deputati nel 2015. E se questo non bastasse, l’anonimato online non è un vero e proprio anonimato: basti pensare alle operazioni delle forze dell’ordine (partendo dalla Polizia Postale) che sono in grado di incrociare dati (IP di connessione e non solo) per risalire all’identità di chi si cela realmente dietro un account.

Ultimo, ma non per importanza, il capitolo della verifica tramite documento d’identità. Quando parliamo di piattaforme social, non facciamo riferimento alla Pubblica Amministrazione. Accedere con Spid, Carta d’Identità o sistemi similari a piattaforme gestite da aziende private – con l’elevatissimo rischio (come i casi del passato più o meno recente) di data breach- equivale a regalare a queste società (già al centro del mirino, come Facebook all’epoca di Cambridge Analytica) miliardi di dati personali. Dunque, un progetto irrealizzabile.

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