Tutte le cose che Calenda ha dimenticato parlando dello stop all’anonimato sui social

Il leader di Azione, come in passato fece anche Marattin, chiede la verifica di un documento di identità per l'iscrizione alle varie piattaforme. Un tema di stretta attualità che, però, non fa riferimento a normative esistenti e "confini"

19/05/2022 di Enzo Boldi

Partiamo da un presupposto: il fenomeno degli account fake e dei bot sulle varie piattaforme (da quelle del gruppo Meta come Facebook e Instagram, fino ad arrivare a Twitter) rappresenta uno dei vulnus principali della rete da quando, proprio con l’avvento dei social network, tantissime persone sono diventati “utenti” attivi del web e non più solamente “passivi”. Il bello e il brutto di Internet, perché questa possibilità di immergersi in un mondo “parallelo” ha dato vita alla presenza di moltissime “persone” che parlano senza mostrare il proprio nome e il proprio volto. Ma l’anonimato sui social è un qualcosa di impossibile. Anzi, una vera e proprio utopia. Ma da alcune ore se ne è tornato a parlare per un dibattito aperto su Twitter da Carlo Calenda. Il leader di Azione, però, porta con sé argomentazioni di base mirabili che fanno a schiaffi con la realtà.

LEGGI ANCHE > La strage di Buffalo è stata vista in diretta da 22 persone. Ma da allora il video è stato guardato da milioni

Il tema dell’anonimato sui social venne sollevato già qualche anno fa da Italia Viva. Il più fervente sostenitore dell’obbligo di iscrizione alle piattaforme solo previa verifica di un documento di identità fu il deputato Luigi Marattin che dopo un servizio di Report (RaiTre) sui falsi account social che “sponsorizzavano” i partiti della destra italiana annunciò la pubblicazione di una petizione per chiedere agli italiani un parere su questo tema delicato e di stretta attualità. Una proposta rimasta al palo. Anzi, già nel 2019 evidenziammo – sulla carta d’identità per i social avevamo scritto questo su Giornalettismo – un clamoroso autogol: la petizione per chiedere una norma per l’iscrizione alle piattaforme social solo dopo la verifica di un documento, inviata via newsletter, non chiedeva agli utenti di mostrare la propria carta d’identità per rilasciare il proprio voto.

Insomma, la stessa Italia Viva aveva vissuto sulla propria pelle uno dei tanti elementi che da tempo ci portano a spiegare perché l’anonimato sui social non possa essere un qualcosa di raggiungibile. In questi giorni, come detto, l’argomento è tornato in auge a livello mondiale e italiano. Tutto parte dalla “denuncia” di Elon Musk sui profili bot presenti su Twitter (“arma” utilizzata anche per tentare una nuova contrattazione al ribasso per l’acquisizione della piattaforma da parte dell’uomo più ricco del mondo, anche se il problema è segnatamente reale) e che viene raccontata così da Carlo Calenda.

Ovviamente, l’unico modo per evitare utenti fake o bot è quello di una verifica. Ma ci sono molti punti che portano a definire questa operazione impossibile. Lo era fin dalla proposta di Italia Viva targata 2019 e lo è anche oggi con la “mozione” social avanzata da Carlo Calenda.

Anonimato sui social, perché la proposta di Calenda non funziona

Da lì si è aperto un dibattito che, seppur non ha portato i protagonisti a un punto di unione, è molto utile per spiegare perché l’anonimato sui social non possa cessare di esistere. Sulla scena del confronto, oltre al leader di Azione, troviamo lo stesso Luigi Marattin (uno dei primi sostenitori della verifica tramite documento prima dell’iscrizione su una piattaforma social), Paolo Attivissimo (che già in passato aveva spiegato le ragioni del suo “no”, anche per motivi strettamente tecnici e normativi) e il noto profilo Twitter Yoda (@PoliticaperJedi). I due politici spingono per la verifica del documento, gli altri due invece mettono in evidenza tutti i motivi per cui questa dinamica non può avvenire.

Per esempio, sono molto interessanti i punti messi in evidenza da Paolo Attivissimo, già messi in evidenza all’epoca della proposta avanzata da Italia Viva. E da lì emergono dettagli che rispondono, in modo tecnico e basato su norme consolidate, che impediscono di mettere la parola fine all’anonimato sui social. In particolare, occorre sottolineare alcuni fattori:

  • Una legge italiana non toccherebbe i fake e i bot creati o che scrivono dall’estero (e basta una VPN per localizzarsi fuori dal confine scrivendo dalla propria scrivania in quel di Cassino, per citare una città a caso) e impedirebbe ai turisti di utilizzare le piattaforme durante il loro soggiorno nel nostro Paese;
  • La verifica di un documento di identità (che può avvenire solo tramite scansione dei propri dati scritti sulla card) vorrebbe significare l’invio dei propri dati sensibili ad aziende che nel corso degli anni hanno dimostrato di non avere sistemi di protezione all’altezza, visti i continui dati “rubati” che compaiono quotidianamente nel dark web;
  • Il diritto all’anonimato online è stato sancito dall’Italia con la “Dichiarazione dei diritti in Internet” approvata dalla Camera dei deputati nel 2015.

Quest’ultimo punto, in particolare, si basa sull’articolo 10 che si occupa proprio di fornire le linee guida per questo aspetto fondamentale per l’utilizzo di Internet in Italia, ovvero la protezione dell’anonimato:

  1. Ogni persona può accedere alla rete e comunicare elettronicamente usando strumenti anche di natura tecnica che proteggano l’anonimato ed evitino la raccolta di dati personali, in particolare per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure.
  2. Limitazioni possono essere previste solo quando siano giustificate dall’esigenza di tutelare rilevanti interessi pubblici e risultino necessarie, proporzionate, fondate sulla legge e nel rispetto dei caratteri propri di una società democratica.
  3. Nei casi di violazione della dignità e dei diritti fondamentali, nonché negli altri casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria, con provvedimento motivato, può disporre l’identificazione dell’autore della comunicazione.

Grimaldelli ineludibili della democrazia su Internet e sul libero utilizzo della rete da parte dei cittadini italiani. E questi sono solamente i riferimenti di base di tutto il discorso sull’anonimato sui social.

Gli altri aspetti non secondari

Ma poi ci sono anche tantissimi altri passaggi di cui la seppur attualissima e con basi apprezzabili non tiene conto. Per esempio, pensare di sconfiggere il fenomeno degli haters non permettendo di interagire in forma “anonima” è una mera utopia per almeno due motivi:

  • Non è sempre vero che gli attacchi personali, gli insulti e atti di bullismo vengano commessi da persone non identificate da nome e cognome sui social;
  • Esistono già corpi di Polizia e forze dell’ordine dedicate al monitoraggio delle segnalazioni di abusi sui social e per individuare gli eventuali o presunti colpevoli non c’è bisogno di un “nome e cognome”, visto che i mezzi informatici sono in grado di accertare l’identità di un presunto “carnefice” social incrociando altri dati (spesso legati alle connessioni).

Indicazioni che, dunque, smentiscono la narrazione dell’hater di turno che si cela dietro un account fake per insultare o compiere altri reati online (anche passibili di denuncia e condanna, civile o penale, seguendo le norme già esistenti) pensando di essere non individuabile spacciandosi per tal “@Paperino78”.

Come risolvere il problema?

E qui arriviamo al punto finale, in risposta alla proposta avanzata in passato da Luigi Marattin e rilanciata in queste ore da Carlo Calenda. Come si può risolvere questo problema? Perché il tema dei bot e degli account fake è un argomento che giustamente crea forte indignazione, come quella dei due politici che, ribadiamo, hanno posto davanti a tutto un obiettivo mirabile. Ma non conseguibile. Perché questo è il brutto e il bello della rete. Si potrebbe parlare dell’articolo 21 della Costituzione come fanno in tanti (anche rispondendo al leader di Azione) sulle varie piattaforme. Ma non è quello l’assunto principale a cui fare riferimento. In ballo ci sono tante altre problematiche – come quelle descritte sopra – che crescono esponenzialmente seguendo pedissequamente il peso sempre più imponente della presenza continua di un cittadino sempre più utente della rete e di quel mondo parallelo. L’unico rimedio possibile è rappresentato da un’educazione digitale che coinvolga i cittadini. Che spieghi come il celarsi dietro account fake per indossare le vesti del “leone da tastiera” sia completamente sbagliato e comunque perseguibile.

Share this article