A che servirebbe vietare TikTok senza intervenire su altri problemi relativi alla privacy? L’intervista a Giovanni Boccia Artieri

TikTok ha dei problemi notevoli che riguardano la tutela dei dati personali degli utenti e il modo in cui questi dati vengono gestiti. Siamo sicuri che vietarne l'utilizzo senza intervenire sui problemi di ordine generale sia la soluzione migliore?

28/02/2023 di Giordana Battisti

Giovanni Boccia Artieri è direttore del Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali e professore ordinario presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo dove tiene diversi corsi che afferiscono all’ambito della Sociologia dei processi culturali e comunicativi. Ha scritto diversi saggi inerenti alla comunicazione, ai nuovi media e all’utilizzo che la politica fa di questi mezzi e per queste ragioni Giornalettismo lo ha contattato per chiedere una sua opinione sulla recente decisione della Commissione europea e di altri Paesi di vietare l’utilizzo di TikTok sui dispositivi forniti dal governo o, nel caso della Commissione europea, su quelli utilizzati dal personale per lavoro.

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Perché la decisione della Commissione europea su TikTok arriva proprio ora e quali sono le sue implicazioni?

La Commissione europea sta lavorando da tempo su vari interventi di regolamentazione inerenti a Internet e alle piattaforme digitali dei social media e dei social network. Il divieto di utilizzare TikTok si inserisce sicuramente negli sforzi che la Commissione sta facendo in questo ambito e in un certo senso era inevitabile che si intervenisse proprio su TikTok e sui vari problemi che sono emersi nel corso degli ultimi anni riguardanti la sicurezza e la tutela della privacy degli utenti.

Infatti, il contesto che spinge le istituzioni e i governi a prendere decisioni di questo tipo riguarda il «rapporto che esiste tra le società di mercato, che funzionano secondo logiche di mercato, come sono appunto alcune società che gestiscono le piattaforme di social network, e i governi di Stati specifici» spiega Boccia Artieri. Sappiamo per esempio che TikTok ha uno stretto rapporto con il governo cinese, ma anche Meta è legata agli Stati Uniti: «Quando in contesti del genere emergono dubbi su questi rapporti e soprattutto se ci sono sospetti sulla capacità delle piattaforme di accedere ai dati personali degli utenti, allora i governi o le istituzioni sono spinti ad agire».

«Attualmente la discussione su TikTok è particolarmente rilevante perché la Cina è un Paese che si ritiene meno democratico rispetto agli Stati Uniti», continua Boccia Artieri, «ma spesso i problemi riguardanti la privacy sono comuni a diverse piattaforme di social network e non solo». Un altro aspetto del problema, che secondo il professore può aver spinto verso la decisone di vietare o limitare l’utilizzo di TikTok, è la scarsa consapevolezza delle persone riguardo alle norme di base da seguire quando si utilizzano strumenti digitali per lavoro. Ogni istituzione, anche le Università, ha le sue regole: su un computer o su qualsiasi dispositivo che viene fornito al dipendente non si può scaricare liberamente qualsiasi cosa. Questo riguarda anche TikTok, appunto, ma non solo. «Il rispetto di queste regole spesso può venir meno e questo sarebbe sbagliato in ogni caso, a prescindere da TikTok».

Dopo la decisione della Commissione europea il ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo ha detto che è possibile che l’Italia prenda una decisione che ricalchi quella della Commissione ma anche che segua una strada diversa. Anche in questo caso, secondo Boccia Artieri, il tema che bisognerebbe affrontare è quello della corretta gestione degli strumenti digitali e tecnologici forniti ai dipendenti dalla Pubblica Amministrazione, in questo caso, e di conseguenza parlare di regole da seguire quando si utilizzano questi strumenti, di privacy e di sicurezza informatica prima di pensare a un divieto di TikTok. «TikTok e in particolare il suo algoritmo funziona certamente in modo più invasivo rispetto agli altri social e il problema della scarsa trasparenza sulla gestione dei dati personali esiste da parte di TikTok esiste senz’altro, il punto è che bisognerebbe capire come funziona questo sistema prima di vietarne l’utilizzo. La Pubblica Amministrazione, per esempio, potrebbe dotarsi di regole più rigide che riguardano la tutela dei dati personali e della privacy. Il rischio è vietare l’utilizzo di una sola applicazione problematica ma senza intervenire sui problemi che esistono a livello generale».

La discussione sulla scarsa consapevolezza sui temi come la tutela dei dati personali e la sicurezza informatica è emersa soprattutto durante l’ultima campagna elettorale per le elezioni politiche, quando molti politici italiani hanno deciso di aprire degli account TikTok spesso dichiarando l’intenzione di “voler parlare ai giovani” utilizzando appunto una delle piattaforme preferite dalla Generazione Z. Come già detto, i social network sono gestiti da società di mercato, private, e vengono utilizzati da tempo anche per la comunicazione politica: «Il punto è chiedersi se sia corretto che la comunicazione politica passi attraverso strumenti che seguono le logiche di mercato perché mentre l’utente interagisce con un politico, anche fruendo dei suoi contenuti, è esposto allo stesso tempo a quelle logiche. Su questo tema a mio avviso non c’è stata ancora una riflessione approfondita».

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