Quelli che su Telegram continuano a cercare il video della maestra d’asilo di Torino
La ricerca spasmodica del video della maestra di Torino ci ha condotti a una riflessione amara insieme a Simone Fontana, che lo scorso aprile ha portato alla luce il fenomeno del revenge porn su Telegram
20/11/2020 di Ilaria Roncone
In Italia – e non solo – abbiamo un palese problema con la sessualità, ancora di più con la sessualità delle donne. Chiunque si interessi un minimo di attualità ha sentito della storia di revenge porn della maestra di Torino licenziata esplosa dopo che un uomo con la quale si era frequentata ha condiviso materiale intimo di lei ricevuto durante la relazione. La giovane maestra è stata trattata da più parti come la carnefice e non la vittima, colpevole di aver inviato quel materiale. La legge contro il revenge porn entrata in vigore lo scorso anno ha punito lui e quelli che hanno diffuso il video ma per buona – troppa – parte dell’opinione pubblica l’errore è stato di lei. Con Simone Fontana, giornalista che dallo scorso aprile porta alla luce i gruppi Telegram nei quali si condivide questo tipo di materiale con un vero e proprio regolamento, abbiamo fatto una riflessione sul sesso e sulla misoginia insita ma nascosta nella nostra società.
Il problema culturale è enorme e lo stiamo drammaticamente sottovalutando pic.twitter.com/FBbAFu8ESf
— Simone Fontana (@simofons) November 19, 2020
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L’Italia e il suo problema con il sesso e i limiti della violenza
«In Italia abbiamo un problema culturale nell’approccio al sesso e un problema culturale nell’approccio al consenso, in generale c’è una visione abbastanza distorta dei limiti della violenza perché con le nuove tecnologie si sono modificati i confini di quello che è definibile violenza e la diffusione di materiale intimo non consensuale è qualcosa che viene molto spesso percepita non come una violenza mentre invece lo è: ci sono carnefici e vittime. Una violenza che può sembrare virtuale ma ha delle conseguenze molto reali». Questo, però, vale solo per le donne. Se al posto della maestra di Torino ci fosse stato il maestro questo contenuto sarebbe stato demonizzato allo stesso modo? «Questo discorso è legato a quella che è l’idea della donna nella nostra società, anche in questa storia della maestra di Torino. La vicenda è stata trattata dall’opinione pubblica proprio come ci si aspetterebbe da un paese come l’Italia, con una mentalità molto vecchia e molto chiusa. Questo è anche l’effetto della donna vista come oggetto sessuale nel gruppo da cui è tratto quel video (il video del tweet riportato sopra n.d.r.)».
Le regole dei gruppi del revenge porn telegram
«Gruppo composto da 55 mila persone. 55 mila uomini, di fatto. Ci sono entrato seguendo la segnalazione di una di queste vittime e proprio da qui è partito il mio lavoro, due mesi di analisi di messaggi all’interno del gruppo. Il gruppo ha chiuso il giorno stesso in cui è stato pubblicato il mio articolo ad aprile però ha anche riaperto il giorno stesso perché sono come scatole cinesi, si ricreano e solo con il passaparola raggiungono numeri che arrivano fino a 100 mila utenti, tutti uomini». Entrando nel merito del caso specifico, quello della maestra di Torino, nonostante la vicenda sia stata riportata da tutti i media italiani – in maniera non adeguata e non sufficientemente incisiva – sono «60 le persone che tra mercoledì mattina e giovedì sera hanno cercato di ottenere quel video». Ci sono anche «diversi video che vengono spacciati per quello della maestra di Torino perché in questi gruppi si crea una sorta di economia informale in cui i contenuti relativi alle donne e le donne stesse vengono utilizzate come merce di scambio».
Video intimi donne con più o meno valore a seconda di quanto sono esclusivi
Simone Fontana ci ha spiegato che esiste una sorta di classifica che attribuisce ai video di contenuti intimi delle donne un valore diverso a seconda del grado di esclusività: «Ci sono video considerati dal gruppo più ghiotti, esiste una scala di valori precisa in cui il video della tua ex ragazza che lei ti ha mandato ma non sa ancora che tu hai diffuso è il contenuto di massimo valore. C’è questo scambio: ti do un video che vale molto affinché tu me ne dia uno che vale altrettanto. I contenuti più celebri all’interno del gruppo perché sono i più facili da reperire hanno un valore molto basso mentre i video più difficili da reperire perché magari la fonte è solo una – ovvero l’ex ragazzo della persona che subisce la violenza – ha un valore di scambio altissimo». In cima alla piramide di contenuti basata sul valore che si crea troviamo la Bibbia, ovvero «un file zip, un archivio pieno di cartelle e ognuna ha un nome. All’interno di ognuna ci sono le foto intime di una singola ragazza. Si tratta di un enorme raccoglitore di revenge porn e materiale intimo di donne che ha valore molto alto perché è difficile da reperire in quanto viene cancellato da internet appena pubblicato ma ricompare venendo aggiornato costantemente».
Narrazione di media e opinione pubblica deve cambiare
«La banalità del male di queste persone che, in molti casi, non sono neanche consapevoli di fare qualcosa di così mostruoso perché magari non viene percepito quanto può essere difficile per una persona dall’altra parte vedere il suo materiale circolare». Come è possibile? Basta guardare la narrazione che facciamo delle cose. «In questi giorni, per la storia della maestra di Torino, parliamo di “filmino hard” ma il termine è sbagliato». Dovessimo dare una precisa definizione, un filmino hard altro non è che un video pornografico girato consensualmente a scopo di distribuzione. «Anche il modo in cui noi parliamo di queste cose è indice del problema. Se noi parliamo di filmino hard collegato a questa cosa stiamo in qualche modo, inconsapevolmente, perpetrando questo meccanismo. Spersonalizziamo chi subisce violenza e parliamo del filmino, che è qualcosa che ha un’accezione diversa nel modo in cui definiamo le cose. Il linguaggio è importante ed è spia di molte altre cose».
Non solo vittime della cultura ma anche misogini convinti
«Ci sono molte persone che, invece, lo fanno volontariamente. Quando sono entrato nel gruppo l’ho fatto perché una ragazza era finita in questo gruppo e aveva ricevuto su Instagram dei messaggi privati in cui alcune persone ci provavano con lei. Lei ha risposto negativamente alle avances di una di queste persone e lui le ha dato della troia e le ha scritto “sono contento che tu sia finita nel gruppo” linkandoglielo così che assistesse alla violenza che stava subendo. Si tratta quindi, a volte, di una violenza molto reale e molto voluta». Le donne sono viste come nulla oltre un oggetto sessuale che puoi comprare in un negozio, in sostanza. A questo proposito esiste il termine incel – neologismo nella cultura di Internet che viene dall’unione dei due vocaboli inglesi involuntary e celibate – che indica un fenomeno «che sta avendo grandissima visibilità e risonanza negli ultimi mesi in Italia. Si tratta di piccoli gruppi che fanno lobby per far percepire l’uomo come un genere oppresso dal momento in cui non riesce ad avere rapporti sentimentali o sessuali con le donne. Loro si riferiscono alla donna e al sesso con la donna come un bene fondamentale che dovrebbe essere passato dallo stato. Questo della donna come oggetto puramente sessuale non è così minoritario, esistono persone che si uniscono in gruppi sotto quella che sta diventando una vera e propria ideologia che vede la donna in questo modo». Gli incel negli Usa «sono stati da poco inquadrati dall’FBI come gruppi di terrorismo domestico. In Italia c’è molta meno organizzazione ma ci sono persone che parlano pubblicamente di questi temi, seppur poche, in particolare in riferimento all’omicidio della coppia di Lecce. L’omicida è diventato un po’ l’idolo degli incel italiani poiché considerato un uomo oppresso che ha deciso di farsi giustizia da solo e di vendicarsi rispetto alla società». Il problema, oltre che della cultura, è anche delle piattaforme: «Nonostante ci siano così tante persone che si scambiano questo tipo di materiale illegale, Telegram non fa niente. Agire per vie legali è molto difficile perché, come sappiamo, le piattaforme rispondono in modo diverso rispetto alle persone fisiche. Problema culturale e problema giuridico, quindi. Siamo di fronte a sfide nuove e il nostro modo di affrontarle deve adeguarsi, per ora le stiamo gestendo in maniera carente. Un reato nuovo richiede strumenti nuovi, sia leali che legislativi».