Le regole le fa la comunità di cui parlo, non io che ne scrivo

Un tema particolarmente caldo in quest'ultimo periodo in cui la stampa italiana ha dimostrato di non saper parlare della comunità trans

11/12/2020 di Ilaria Roncone

Gli ultimi mesi sono stati particolarmente caldi per quanto riguarda fatti di cronaca e non solo che hanno coinvolto la comunità trans. Storie tragiche come quella di Maria Paola e Ciro o storie come quella di Elliot Page, che ha fatto sapere al mondo di essere transgender. Che sia tragica o che sia di vita nuova, queste storie hanno avuto una cosa in comune: l’incapacità della stampa e delle persone di scrivere e di parlare del tema e dei soggetti coinvolti con i termini giusti. Da Ciro chiamato Cira durante il Tg1 a tutti gli errori nei titoli e negli articoli – in cui spesso si è fatto deadnaming – sulla questione Elliot Page, i casi in cui la stampa italiana ha dimostrato di non essere all’altezza della questione sono molteplici.

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Stampa e giornalisti devono conoscere il linguaggio dei fenomeni di cui scrivono (comunutà trans compresa)

Da che mondo è mondo chi scrive – soprattutto se per mestiere – deve saperlo fare con il linguaggio giusto. Così come un giornalista scientifico deve saper parlare con il linguaggio stabilito dalla comunità scientifica, anche chi sceglie di trattare temi relativi alla comunità LGBTQ deve farlo seguendo le sue regole. Parlare con i termini giusti è fondamentale quando si trattano le tematiche relative alla comunità trans vista la delicatezza del tema: saper utilizzare pronomi e termini giusti anche se non si è parte integrante di qualcosa e non lo si capisce è il minimo sindacale per fornire alle persone un’informazione corretta a prescindere dalla posizione e dall’idea di chi scrive. La misura del punto in cui siamo in Italia la fornisce la richiesta di un’interrogazione parlamentare a Conte sui corsi per insegnare l’utilizzo del linguaggio della comunità LGBT ai giornalisti.

Se vuoi parlarne parlane con i termini corretti, altrimenti taci

Partiamo da un presupposto: la comunità LGBTQ si autodetermina e non chiede opinioni. Nessuno chiede di applaudire un coming out o una transizione, si chiede solo rispetto. Adinolfi, che parlando di Elliot Page ha scritto «dice che si chiama Elliot, è una persona trans non binaria, bisogna dargli del lui e se non applaudi sei omofobo», perde di vista il diritto all’autodeterminazione di ogni essere umano. La regola, per chi ne scrive e chi ne parla, è semplice: se vuoi entrare nel merito di un mondo rispetti le sue regole, a partire da quelle linguistiche. Capire appieno il senso dell’uso di questo o quell’altro pronome a prescindere dal sesso biologico non è da tutti: può non essere compreso e non essere condiviso ma, sempre e comunque, se uno vuole parlarne – sia sulla stampa che nella vita quotidiana – deve farlo rispettando il sacrosanto diritto all’autodeterminazione. In alternativa rimane sempre la possibilità, troppo spesso sottovalutata, di tacere.

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