Giornalisti capaci di parlare della comunità LGBT non sono «indottrinati»

Chiesta da alcuni senatori di centrodestra un'interrogazione parlamentare per Conte sui corsi ai giornalisti per imparare il giusto linguaggio quando si parla di comunità LGBT

16/11/2020 di Ilaria Roncone

Che in Italia i media non siano in grado di parlare con il linguaggio adeguato dei fatti di cronaca che riguardano la comunità LGBT è un dato di fatto. Dei tanti casi l’ultimo è quello di Maria Paola e Ciro, la coppia in cui lui – un giovane uomo nato donna che si identifica con il genere maschile – è stato appellato in ogni modo da giornali e telegiornali nostrani (ricordiamo il Tg1 che lo ha chiamato Cira). Vista l’ignoranza dimostrata dal panorama mediatico italiano – intendendo con ignoranza la mancanza di conoscenza -, per quale ragioni investire denaro pubblico per istruire coloro che devono saper parlare del mondo nei termini corretti sarebbe uno spreco di soldi?

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Corsi LGBT giornalisti, interrogazione parlamentare a Conte

L’interrogazione parlamentare per Giuseppe Conte in merito al finanziamento di corsi perché i giornalisti apprendano il modo corretto di parlare della comunità LGBT – in termini di linguaggio, non di pensiero – è voluta da tre senatori del centrodestra. Lucio Malan (FI), Simone Pillon (Lega) e Isabella Rauti (FdI) vogliono chiarimenti per quella che definiscono un’operazione di indottrinamento gender. Pro Vita & Famiglia ha raccolto l’opinione della senatrice Rauti che ha parlato di «precisa volontà di indottrinare i giornalisti al politicamente corretto nella scrittura, che dovrebbe corrispondere al politicamente corretto nella mentalità corrente».

Comunità LGBT, perché è importante che i giornalisti sappiano parlarne

Le discriminazioni dei membri della comunità LGBT passano da molti elementi, uno di questi è il linguaggio. Insegnare a chi deve parlarne e ha il compito di educare il giusto modo di farlo non significa volerne manipolare il pensiero e l’opinione – ogni giornalista è e rimane delle proprie idee, libero di scrivere quello che ritiene appropriato nei limiti del querelabile – ma solamente dare nozioni rispetto a un linguaggio che non per tutti è di uso corrente e familiare. Combattere le discriminazioni per le persone LGBT passa anche dal saperne parlare correttamente sui vari canali media. Per farla semplice, che i giornalisti apprendano a scrivere delle persone e dei fatti della comunità LGBT significa non leggere più frasi come le tante sbagliate lette su Ciro e Maria Paola di cui ricordiamo qualche esempio: “Relazione gay”, “l’amica che da un po’ di tempo si faceva chiamare Ciro”, “le due amiche”, “la compagna”, “Cira”. Ognuno di questi modi di parlarne lede alla dignità di Ciro in un contesto di per sé già doloroso come quello dell’uccisione della sua compagna. Rispettare l’identità di genere di Ciro scrivendone nei giusti termini non significa automaticamente esprimersi a favore, significa solamente essere capaci di parlare di una parte di mondo. Cosa che ogni giornalista dovrebbe saper fare.

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