Cathy La Torre: «Una certa politica soffia sull’idea che “dare un diritto a uno significa toglierlo a te”»

Abbiamo intervistato l'avvocata Cathy La Torre parlando del suo ultimo libro e del Ddl Zan

12/11/2020 di Ilaria Roncone

«Se si soffia sempre sul vento del “dare un diritto a uno significa toglierlo a te” tu a un certo punto ti convinci»: questo afferma Cathy La Torre quando parliamo del punto in cui siamo con il Ddl Zan e dei diritti delle minoranze in Italia. La sua opera prima è uscita il 10 novembre nelle librerie e si intitola “Nessuna causa è persa”. Si tratta, come ci ha spiegato lei stessa, di un libro che «abbraccia il tema della non rassegnazione e delle cause perse» con la consapevolezza che in realtà nessuno di noi è una causa persa perché se ci sentiamo una causa persa è per gli stereotipi e le aspettative che una società ultra performante proietta su di noi. Proprio per questo la diversità generale è sempre una causa persa, per esempio. Quando sei fuori dagli schemi della maggioranza eteronormativa, bianca ti senti sempre una causa persa. Tutte queste storie raccontano di come loro si sono sentiti una causa persa».

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Intervista Cathy La Torre: di cosa parla il libro “Nessuna causa è persa”

Il libro di Cathy La Torre, Avvocathy su Instagram, è un libro che parla di lei, certo, ma in primis «delle storie di persone che erano considerata “Cause perse”» che l’avvocata ha deciso di legare alla sua raccontandole tutte insieme «in un intreccio unico di storie straordinarie e potenti». Sono racconti che a lei piace definire «di ingiustizie sanate», quelle per le quali  l’«unico vero antidoto è l’empatia». Il libro si apre con la storia che Cathy sente più vicina alla sua, quella di Miky Formisano, uno degli attivisti trans oggi più conosciuti e stimati in Italia ma che viene da un passato molto difficile di detenzione e tossicodipendenza quando era ancora Michela.

Il libro che segna 20 anni di attivismo di Cathy La Torre

«Questo libro nasce nel 2020 perché è l’anno in cui ho compiuto 20 anni di attivismo, 20 anni dopo il mio primo atto di attivismo che è stato partecipare all’organizzazione del World Pride, il Pride mondiale a Roma, che fece molto scalpore perché in concomitanza con il Giubileo. Mondandori mi ha chiesto di raccontare la mia storia e io avevo pudore e pensavo: a chi importa della mia storia? Allora si è trasformato in un intreccio di storie che per me sono state particolarmente importanti, storie che raccontano di persone che erano considerata appunto “Cause perse”. Io racconto la mia storia attraverso quelle di queste persone e come l’incontro con queste persone ha cambiato la mia vita. La storia di Ada, prima persona cieca in Italia a fare il corso da magistrata quando mai era successo con la quale sono andata in giro per Bologna bendata per avvicinarmi all’abilismo e capire quanto fosse difficile la vita delle persone cieche; quella di Luca Trapanese, primo papà single ad adottare una bimba con sindrome di down scartata da decine di famiglie cosiddette tradizionali, che mi ha permesso di parlare della mia esperienza con la genitorialità; la storia di suor Maria Chiara, suora capostipite di un movimento di suore che si battono per una migliore condizione della donna nella chiesa e perché le suore vengano pagate per il lavoro che fanno così come accade ai preti (e in particolare non manca l’intenzione dell’avvocata di avvicinarsi alla comunità ecclesiale che è fatta, esattamente come quella Lgbt, di «persone più stronze e persone meno stronze» volendo andare oltre i «pregiudizi reciproci» che ci sono tra le due comunità n.d.r.); Alice, le cui foto sono finite sui gruppi Telegram facendola sentire colpevole come se fosse stata lei la causa di tutto»

«Ho raccontato tutta la mia storia legata al corpo e alla mia identità di genere»

Tra tutte le storie raccontate quella che Cathy sente più vicina alla sua è quella di Michele Formisano – nato Michela – che ha scelto di raccontare nel primo capitolo. «Intrecciandola con quella di Michele io racconto tutta la mia storia legata al corpo, alla mia identità di genere e alla mia difficoltà di convivere con un corpo femminile che non ho sentito pienamente appartenermi mai. Con Michele c’è una storia parallela, quasi: io nel mio piccolo paesino, lui in carcere ma erano anni in cui il tema di non sentire pienamente proprio un corpo non si poteva affrontare e non si sapeva come risolverlo. Vent’anni fa non esistevano queste cose, non si parlava di identità di genere ma solamente di transessualità. Nel libro racconto anche come sono stata bocciata nel mio percorso di cambiamento di genere, quando ho capito che in realtà non mi sentivo a mio agio nemmeno immaginandomi con una voce maschile e la barba. Michela ha fatto pace facendo una transizione di genere, io ho fatto pace aprendomi alla consapevolezza che esistono anche delle persone come me che si definiscono non binary o che comunque in una scala del binarismo maschile-femminile oscillano in maniera fluida tra uno e l’altro. 20 anni fa non esistevano tutte queste definizioni, avevamo solo il sentore di possedere un corpo che non ci apparteneva del tutto ma non c’era una spiegazione»

Cathy La Torre e la politica italiana che istiga quando si parla di allargare diritti

Quando Cathy parla di “diritto extralarge” pensare alla situazione in Italia e al percorso del Ddl Zan è inevitabile: «Gli obiettivi non sono solo quelli per la comunità Lgbt ma questa l’idea di diritti che aggiungono, estendono a chi non ne ha e non tolgono a chi ne ha. Siamo lontani da questa idea in Italia perché c’è una politica che purtroppo soffia su quest’idea: se io allargo, estendo un diritto a te che non ce l’hai non lo sto togliendo a chi già ce l’ha. Se io do la possibilità a una persona single di adottare non sto togliendo la possibilità a una coppia di adottare, chiaro? Se io estendo una protezione alle persone Lgbt o alle persone disabili contro un crimine di odio, non sto togliendo a chi già è protetto o a chi non li subisce questi crimini di odio – sostanzialmente chi non appartiene a una minoranza -. L’idea del diritto XXL è l’idea che i diritti devono aggiungere e non togliere; quando invece le battaglie sono fatte perché qualcuno non goda degli stessi diritti di qualcun altro io diffido sempre di quella parte politica, di quell’associazione, di quel movimento. I movimenti pro vita, per esempio, non li biasimo per quello che dicono ma li biasimo perché impegnano le loro energie affinché una parte dei cittadini di questo paese non abbia dei diritti di cui loto godono. Per me questo è inaccettabile. Se si tratta di diritti nessuno può convincermi che una battaglia contro è una battaglia giusta. solo una battaglia pro è una battaglia giusta quando si tratta di diritti negati».

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