Nell’epoca dei social, ha ancora senso la par condicio televisiva?
Sono cambiati i paradigmi e gli strumenti a disposizione dei politici. Eppure, ogni volta si fa polemica attorno a una soluzione non al passo con i tempi
11/04/2024 di Enzo Boldi
Ogni volta che si avvicina un appuntamento elettorale, in Italia si torna a parlare (anche per via di modifiche ad hoc) dell’importanza di un sistema di monitoraggio per la par condicio radio-televisiva. Stessa possibilità di accesso a tutti – soprattutto per quel che riguarda le emittenti pubbliche – e stessi tempi destinati ai candidati che vogliono sfruttare i media per “raccontare” agli elettori le proprie promesse. Ma ha ancora senso parlare, almeno in questi termini, di par condicio al giorno d’oggi?
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Da tempo, il dibattito politico viene ospitato in altri lidi. Le “scaramucce” tra i rappresentanti dei diversi partiti si sono spostate dai talk show (anche in differita) televisivi alle piattaforme social. Polemiche e vetrine. Abbiamo visto improbabili candidati (per via dell’età, ma non c’è alcuna intenzione di fare ageismo) sbarcare su TikTok per tentare di apparire – in vesti molto più giovanili – di fronte a un pubblico giovane e giovanissimo. Neo o futuri possibili elettori da conquistare attraverso gli strumenti messi a disposizione dalle multi-variegate piattaforme.
Abbiamo visto comparire card social che hanno – di fatto – sostituito (anche se in molte città sono ancora presenti) i manifesti pubblicitari lungo le strade. Questione di costi, sicuramente, ma anche di visibilità. I dati raccontano di come il pubblico radio-televisivo sia in continua decrescita nell’ultimo decennio. Soprattutto i giovani, coloro i quali saranno chiamati a votare per il presente e per buona parte del futuro, guardano la tv di rado e quando lo fanno si collegano a piattaforme di streaming. La radio è uno strumento ancor più in disuso: al netto degli irriducibili, dalla Gen Z in poi si preferisce l’ascolto dei podcast o della musica attraverso le app dedicate).
Par condicio oggi, ha ancora senso parlarne?
Insomma, c’è stata una mutazione totale del pubblico e degli elettori inseguita dalla politica e dai politici. Sono sempre più diffusi dibattiti e confronti (anche se molto rari) su piattaforme come Twitch. E allora, perché si dibatte di par condicio oggi se i mezzi sono completamente cambiati. Parliamo della televisione, al centro delle recenti discussioni dopo l’approvazione, in Commissione di Vigilanza Rai, di un emendamento che – di fatto – permette agli esponenti del governo (candidati alle prossime elezioni europee) di non avere limiti di tempo nell’esposizione di ciò che ha fatto e sta facendo l’esecutivo in carica.
Se la tv non sposta più gli equilibri, non avrebbe senso inserirsi in questo dibattito sterile. La realtà è che la tv è potere. Soprattutto quella pubblica. Lo si vede ogniqualvolta cambia un governo, con la Rai che viene gestita – anche attraverso le nomine – come un media di Stato che ha la “responsabilità” di raccontare una versione governativa dei fatti. Oggi, con il governo Meloni, tutto ciò è molto evidente soprattutto nei telegiornali e nelle trasmissioni di approfondimento correlate ai tg. Ma anche in passato, con governi di altri colori, le cose non erano molto differenti.
Nell’era dei social
Dunque, dibattere sulla par condicio oggi sembra essere più un esercizio stilistico. Un gioco per sottolineare come chi è al governo ha più potere di chi è all’opposizione. Di fatto, un tema su cui fare propaganda politica e campagna elettorale. Da elemento strutturale delle democrazia, questo concetto si è trasformato in una bandiera da sventolare in vista del voto. Una coperta di Linus, dunque. Infatti, buona parte dei voti (al netto delle convinzioni personali di chi non si fa smuovere da nulla e da nessuno), viene spostato dai social network.
Un post su Facebook, Instagram o X vale più di una presenza a “Porta a Porta”. Una card social pesa più di venti minuti di intervista a “Di Martedì”. Le nuove generazioni, al massimo, leggono i resoconti delle comparsate televisive sulle piattaforme e lì danno vita al dibattito. Il media tradizionale, dunque, diventa un vero e proprio mezzo che dà solo la spinta per avviare discussioni altrove. Ed è impossibile pensare di inserire un concetto come la par condicio lì sopra, così come sono vani i discorsi sul silenzio elettorale sui social.