E allora, per bloccare la pirateria perché non chiudere l’internet?

L'obiettivo primario del Piracy Shield è giusto: tentare di fermare la pirateria online. Il sistema, però, si sta dimostrando fallace. Se questa è la soluzione, allora dovremmo bloccare l'intero ecosistema web

25/03/2024 di Enzo Boldi

La situazione attuale è riassumibile in una mutazione di un paradosso storico (condito da tinte tragiche): colpirne cento per educarne uno. Quel che è successo alla fine di febbraio a un indirizzo IP di una CDN di Cloudfare è l’emblema dei problemi della piattaforma italiana Piracy Shield. Lo scudo anti-pirateria, quello che ancora oggi viene definito il fiore all’occhiello di Agcom nella lotta in difesa del copyright per quei contenuti audio-visiti protetti da contratti di licenza per le trasmissioni. Al netto dell’obiettivo giusto e ambizioso di bloccare il fenomeno, questa soluzione rischia (come già accaduto) di penalizzare anche chi lavora sul web legalmente. Dunque, la provocazione: vogliamo bloccare l’intero mondo di internet per perseguire un reato?

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Il caso è noto: lo scorso 24 febbraio la piattaforma Piracy Shield ha inviato a tutti i provider italiani l’avviso (obbligo) di oscurare un IP. Si trattava di un indirizzo che rimandava alla CDN (Content Delivery Network) di Cloudfare al cui interno si appoggiava uno (e solo uno) dei portali che stavano trasmettendo la diretta di alcuni match di Serie A (i cui diritti di trasmissione sono stati acquistati da Dazn). Dunque, giusto intervenire per “buttare giù” tutto e porre fine a una trasmissione illecita. Però, colpendo una CDN non si colpisce un solo portale. E così, l’oscuramente di quell’IP ha provocato il down di moltissimi siti (qui un esempio) che si appoggiavano a quella stessa CDN. Siti che non avevano nulla a che fare con la trasmissione illecita di partire di calcio.

Problemi Piracy Shield e il paradosso di chiudere internet

È successo ciò che si sospettava fin dall’entrata in vigore della piattaforma anti-pirateria: colpendo alcuni IP è elevato il rischio di colpire anche gli “innocenti”. E così, dunque, è accaduto. La soluzione, quindi, sembra non essere quella ideale, nonostante – ribadiamolo – la lotta alla pirateria sia una battaglia giusta e sacrosanta. Perché mentre in Spagna la Corte di Giustizia ha deciso – dopo alcuni reclami presentati da quattro grandi gruppi di media audio-visivi – di bloccare (temporaneamente) Telegram nel Paese, in Italia si sta facendo di tutta l’erba un fascio: se su una CDN gira anche un solo sito che trasmette illecitamente qualcosa coperto da diritto d’autore, anche tutti gli altri portali che si appoggiano a quella stessa CDN (che non viene decisa dal titolare del dominio) subiscono l’effetto a cascata dell’oscuramento.

Portali figli del lavoro di singoli utenti o di aziende. Tutte nello stesso calderone. Senza prendere la mira e colpire solamente i potenziali colpevoli di un comportamento illecito. Questi sono i principali problemi Piracy Shield, con il rischio – da qui il paradosso – di chiudere completamente l’Internet per colpire mille (è un numero a caso) piattaforme che non rispettano le regole e le leggi. L’estrema ratio per rincorrere gli illeciti senza una vera e propria strategia mirata-

La soluzione?

Ovviamente, lo sappiamo, l’ecosistema internet è pieno di angoli in cui chi fa pirateria digitale può nascondersi. Vicoli difficili da raggiungere e punti di appoggio che favoriscono la diffusione di questo reato. Come intervenire, dunque, per evitare che questi problemi – prima o poi – provochino un blocco generale del mondo internet? Dando responsabilità alle piattaforme. Prendiamo il caso recente di Cloudfare: se sulla CDN si appoggia un sito illegale che trasmette in modo illecito (per esempio) una partita di calcio, dovrebbe essere la stessa azienda a intervenire per rimuoverlo (anche su spinta delle autorità preposte). Insomma, dare ai titolare obblighi e responsabilità “editoriali” su ciò che viene trasmesso attraverso i loro server e servizi.

In caso di mancata rimozione, ecco che potrebbero arrivare pesanti multe e sanzioni. Questo permetterebbe agli utenti innocenti, a quei “malcapitati” che hanno il proprio sito “appoggiato” su una CDN, di non incorrere in punizioni di censura per illeciti che non hanno commesso loro ma da qualcun altro in giro per il mondo. Potrebbe essere molto facile, sempre che le istituzioni (non solo quelle italiane) decidessero – finalmente – ti mettere sul tavolo gli attributi e spingere le grandi aziende del tech a non celarsi dietro scudi di immunità. Da un grande potere derivano grandi responsabilità.

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