La par condicio ad personam, secondo il governo Meloni

In vista delle elezioni europee di giugno, sono state riviste le regole della presenza dei partiti in tv: il governo esce fuori dalle proporzioni che toccano ai singoli esponenti politici

11/04/2024 di Gianmichele Laino

Se sei una istituzione puoi essere anche un politico? La domanda, in Italia, ha una risposta abbastanza scontata, dal momento che – mutuando un vecchio slogan – l’istituzionale è politico. Non è possibile, insomma, scindere il ruolo di presidente del Consiglio da quello di segretario di Fratelli d’Italia, né di quello di vicepremier da quello di segretario di Forza Italia e della Lega. L’unica figura istituzionale che, costituzionalmente, si trova sempre super partes e super partes viene considerata è quella del presidente della Repubblica (basterebbe commissionare un sondaggio per chiedere di che partito politico faceva parte Sergio Mattarella per comprendere quello di cui stiamo parlando). Ma il presidente della Repubblica non è candidato nelle liste per le elezioni europee. Mentre è verosimile che premier, vicepremier, ministri e altri presidenti di commissioni parlamentari possano finire sulla scheda che ci aiuterà a scegliere i nostri rappresentanti al Parlamento europeo. Per questo c’è polemica sull’emendamento, approvato in commissione di Vigilanza Rai, che modifica, per queste elezioni, la delibera sulla par condicio.

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La nuova par condicio approvata dalla commissione di Vigilanza Rai

L’emendamento era stato proposto da esponenti della maggioranza di governo (in particolare Lega, Fratelli d’Italia e Noi Moderati) e prevedeva testualmente: «qualora in essi [nei programmi televisivi, ndr] assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politico-elettorali, [i programmi, ndr] sono tenuti a garantire la più ampia possibilità di espressione, facendo in ogni caso salvo il principio della “notiziabilità” giornalistica e la necessità di garantire ai cittadini una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative». Insomma, se una istituzione – nelle sue vesti – deve fornire una notizia o si deve sottoporre a un’intervista, lo potrà fare al di fuori del timing previsto per ciascun esponente politico.

Tra l’altro, questa affermazione che va a modificare la delibera sulla par condicio dell’Agcom viene rafforzata da un’altra proposta, ovvero quella di escludere dal conteggio del tempo televisivo a disposizione degli esponenti politici quelle «materie inerenti all’esclusivo esercizio delle funzioni istituzionali svolte».

La nuova formulazione della par condicio avrà un effetto lapalissiano: nella campagna elettorale per le europee che sta per entrare nel vivo sarà molto più semplice vedere, all’interno dei telegiornali, all’interno dei talk di approfondimento e di tutte le tribune politiche degli esponenti dell’attuale maggioranza, dal momento che sono questi ultimi a rivestire un numero maggiore di cariche istituzionali. E se è vero che nel momento storico che stiamo attraversando, dove la comunicazione via social network assume spesso un peso maggiore rispetto a quella via tv o radio, parlare di par condicio potrebbe non avere più senso, resta il fatto che il mezzo audiovisivo sia ancora rilevante nelle scelte dei cittadini. Non ci si può, insomma, nascondere dietro all’incontrollabilità dei social network e dei loro algoritmi: se in tv è necessario bilanciare gli interventi dei politici, la legge dovrebbe essere uguale per tutti. Invece, questo emendamento offre un’occasione di sovraesposizione agli esponenti della maggioranza, dando loro più chance per poter confermare e consolidare la loro rilevanza politica.

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