L’Agcom ha finalmente ammesso di essere disarmata sulla par condicio nei media digitali

Il presidente Giacomo Lasorella lo ha detto nella sua relazione annuale davanti alle camere

29/07/2022 di Gianmichele Laino

È un po’ il segreto di Pulcinella. Nel senso che è evidente ormai a tutti, sin dalle elezioni del 2013 (e quindi anche per le elezioni del 2018, di conseguenza), che la famosa legge sulla par condicio, datata 2000, non sia più adatta ai nuovi mezzi di comunicazione. Oggi, però, a dirlo non sono soltanto i critici dell’analisi politica e dell’esposizione politica davanti alle folle: l’ammissione arriva direttamente dal vertice dell’organismo che dovrebbe vigilare sulla correttezza della comunicazione in tempi di elezioni. Il presidente dell’Agcom, Giacomo Lasorella, ha fatto la consueta relazione annuale davanti alle camere. E ha messo nero su bianco un punto importante: l’autorità non è in grado, in alcun modo, di prepararsi e di fronteggiare i messaggi politici che riguarderanno quello che viene definito ambiente digitale. 

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Par condicio digitale, la questione è stata sollevata direttamente dall’Agcom

In realtà, non è la prima volta che il tema viene sollevato. Già nel 2018, in una condizione molto simile e sempre in clima elettorale, l’Agcom aveva provato a far leva sulle grandi aziende Big tech per cercare di stabilire le regole del gioco e – di conseguenza – le modalità con cui sarebbero dovute avvenire sponsorizzazioni e trasmissioni di messaggi elettorali. Il risultato non fu soddisfacente e i social network ebbero un ruolo determinante nella diffusione dell’informazione politica, nonostante la disparità di risorse messe a disposizione.

Oggi, nell’evitare una nuova e inutile esposizione, nonché un conseguente appello alle grandi compagnie che dominano il web, l’Agcom ha fatto un passo indietro, sottolineando come – in realtà – debba essere il quadro normativo il recinto all’interno del quale fare delle modifiche, per poter effettivamente regolamentare il ruolo dell’ambiente digitale sulle elezioni politiche. I social network e le piattaforme video non possono essere disciplinate da Agcom. Gli algoritmi potranno continuare a raggiungere, anche immediatamente a ridosso del voto, gli elettori targettizzati. Le sponsorizzazioni sui social network saranno operative fino al giorno stesso delle elezioni. I feed sugli smartphone saranno pieni di messaggi elettorali anche a ridosso dell’urna.

L’Agcom ha ammesso di non avere alcun potere nemmeno nel limitare la portata economica degli investimenti nei social network e nelle piattaforme video da parte di ciascun partito. Ma – a onor del vero – questo non può essere considerato un problema solo italiano. Ogni elezione, in ogni parte del mondo, ha avuto lo stesso condizionamento (direttamente proporzionale al tasso di digitalizzazione della popolazione) da parte delle piattaforme di social networking. Il problema esiste ed è amplificato anche all’utilizzo non lecito di strumenti leciti.

N.B.  L’articolo, oltre alla notizia relativa ad Agcom, contiene una opinione personale dell’estensore

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