Il caso delle multe via PEC e l’Italia che non riesce a digitalizzarsi

Una vicenda che arriva dalla Capitale, ma che rappresenta un'arretratezza da parte della Pubblica Amministrazione. Nonostante il domicilio digitale

14/01/2024 di Redazione Giornalettismo

Una vicenda che arriva da Roma, ma che rappresenta il difficile rapporto tra l’Italia e la digitalizzazione. Da mesi (in realtà da anni) si parla della necessità di consentire ai cittadini di eleggere il proprio domicilio digitale per poter ricevere comunicazioni dalle Pubbliche Amministrazioni in formato digitale. E da luglio è stato messo a disposizione di tutti (privati e professionisti) il portale INAD che va proprio in quella direzione. Dunque, in teoria, sarebbe possibile ricevere – per esempio – le multe non più attraverso una notifica fisica, ma via PEC. E, invece, a causa di una lentezza nelle comunicazioni, tutto ciò non è ancora possibile.

Multe via PEC, gli intoppi del domicilio digitale

Il caso di cui abbiamo parlato oggi su Giornalettismo, è l’emblema di questo rapporto non ancora decollato tra l’Italia e il Digitale. Tutta colpa della privacy? Non solo. Perché in questa vicenda c’entra una PEC professionale eletta domicilio digitale e le accortezze raccomandate dal Garante affinché sia tutelato il diritto alla riservatezza (nelle comunicazioni private) di ogni singolo cittadino. Il resto è la classica storia all’italiana: una volta trovato un quadro normativo adeguato, le amministrazioni locali ci mettono un’eternità ad adeguarsi. Perché, nonostante i problemi siano stati risolti da tempo, ricevere una multa in formato digitale è ancora un’impresa. Un male atavico che rientra nell’alveo dell’educazione digitale, quella che le stesse istituzioni e PA sono ancora bocciate. Come nel caso del sito per la richiesta online del passaporto, dove viene richiesto al cittadino di “accettare” l’informativa privacy. Peccato che questa debba essere visionata e non accettata, per definizione.

Questa storia ci porta a un’analisi approfondita non solo sull’educazione digitale, ma anche su quell’eterno dilemma, a tratti rancoroso, tra il diritto alla privacy dei cittadini e la nostra stessa fretta quotidiana nel voler portare avanti le nostre abitudini digitali. Spesso non si visiona (dunque, non si sa) cosa accade ai nostri dati online, solo perché siamo fagocitati dal voler partecipare al villaggio globale online. E così c’è il rischio di nuovi casi Cambridge Analytica.

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