La difficile convivenza di PEC e SERCQ all’interno del Domicilio Digitale

C'è una sorta di equivalenza, a livello di valore legale, tra la posta elettronica certificata e i servizi elettronici di recapito certificato qualificati

12/01/2024 di Gianmichele Laino

Visto che si parla di domicilio digitale, è opportuno dire che – a oggi – stando alla normativa europea eIDAS, sia posta elettronica certificata sia il servizio elettronico di recapito certificato qualificato si trovano sotto lo stesso tetto. E questa cosa potrebbe, in teoria molto più che in pratica, mettere in difficoltà il sistema di elezione del domicilio digitale. Per questo motivo, è opportuno dare una definizione di PEC e SERCQ e di capire come queste due soluzioni certificate vanno a incidere sull’elezione del domicilio digitale.

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PEC e SERCQ, le differenze e l’impatto sul domicilio digitale

Come ampiamente ricordato all’interno del nostro monografico di oggi, il domicilio digitale è in realtà quella fattispecie, prevista dal regolamento europeo 910/2014 (ovvero l’eIDAS), per cui i cittadini e le imprese possono ricevere delle comunicazioni dalla pubblica amministrazione direttamente al proprio indirizzo di posta elettronica certificata. Vengono così superati gli ostacoli e la tradizionale lentezza che sono attribuibili alla comunicazione via posta semplice. Senza contare lo snellimento delle tempistiche burocratiche e, ovviamente, il consumo di carta.

Tuttavia, all’interno del regolamento eIDAS, per avere un domicilio digitale, si chiedono delle caratteristiche equiparate tra di loro. Quindi, ok avere un indirizzo di posta elettronica certificata. Ma per avere un domicilio digitale potrebbe essere sufficiente anche usufruire di un SERCQ, ovvero dei servizi elettronici di recapito certificato qualificati. Questi ultimi, però, sono molto diversi dalla PEC.

Se è vero che il SERCQ dà prova dell’invio e della ricezione di messaggi esattamente come fa una posta elettronica certificata, questo servizio ha lo scopo principale di attribuire valore legale anche alle email ordinarie o a semplici SMS inviati dal proprio smartphone, grazie all’utilizzo di una firma digitale certificata. Unica, attribuibile a un singolo utente e in grado di dare una patente di autenticità al documento inviato o ricevuto. Dal momento che tutto ciò avviene attraverso applicativi che utilizzano web services, sarebbe come attribuire a questi ultimi la qualifica di domicilio digitale.

Si diceva all’inizio, però, che – di fatto – i problemi risiedono più nella teoria che nella pratica. Fortunatamente, dopo il 6 luglio 2023 (quando l’attivazione dell’INAD in Italia ha dato il via al corretto – anche dal punto di vista del trattamento dei dati – processo di domiciliazione digitale), gli oltre 2 milioni di cittadini che hanno attivato il domicilio digitale lo hanno fatto attraverso la PEC. Ma questo non esclude che, in futuro, si possano creare dei qui pro quo legati alla scelta del SERCQ come strumento per la domiciliazione.

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