Mastodon, Twitter e «il comportamento di Musk che dimostra l’incoerenza che tutti abbiamo»

Per Stefano Quintarelli, informatico che ha creato lo SPID ed ex parlamentare, nella storia Twitter Mastodon Musk sta dimostrando l'incoerenza umana e tutte le difficoltà della moderazione

07/11/2022 di Ilaria Roncone

Stefano Quintarelli, informatico e ideatore dello SPID che in passato è stato parlamentare, segue con interesse la vicenda di Twitter Mastodon dopo l’acquistato da Elon Musk e della migrazione di utenti, alla ricerca di un social alternativo e che non veda il potere accentrato nelle mani di una persona sola. Quintarelli che, in effetti, Mastodon lo utilizza già da tempi che possiamo definire non sospetti: «Non ricordo esattamente da quando ho iniziato a usare Mastodon, ma da tanto. Più di un anno sicuramente». Dal funzionamento della piattaforma verso cui tutti sembrano migrare ora che Twitter è di Musk ai vantaggi, passando per una riflessione sulla moderazione, cerchiamo di capire dove siamo in questo momento e dove – ipoteticamente e seconda di come Elon Musk gestirà quella che ora è la sua piattaforma – potremmo andare a finire.

LEGGI ANCHE >>> Mastodon sta diventando il social alternativo a Twitter? 

«Il comportamento di Musk in questi giorni dimostra l’incoerenza che tutti abbiamo»

Quintarelli non ha dubbi rispetto a ciò che Musk – tra spunta blu a pagamento e ban permanente a coloro che, con la spunta blu, cambiano nome – sta facendo da quando ha acquisito Twitter: «Il comportamento di Musk in questi giorni secondo me è dimostrazione dell’incoerenza che un po’ tutti abbiamo. C’è un film con George Clooney – Le idi di marzo – dove lui è un candidato politico che si oppone alla pena di morte. Un giornalista cerca di metterlo in contraddizione chiedendogli cosa farebbe se arrivasse qualcuno e uccidesse e violentasse la moglie, i figli. La sua risposta è che se ce lo avesse davanti probabilmente lo ammazzerebbe. Alla domanda del giornalista rispetto all’incoerenza di questa affermazione, risponde che le cose non stanno così poiché la società deve essere migliore del singolo.

Questa contrasto tra le regole sociali e dove vogliamo tendere c’è sempre – continua Quintarelli dialogando con Giornalettismo -. Musk prima parlava e diceva cose, spingeva le persone ad usare la time line oraria e non dettata dall’algoritmo, si esprimeva a favore della libertà di espressione. Questo quando era fuori. Una volta che entra, ecco che non c’è più la liberta di espressione, che la time line fatta da un algoritmo va bene. Facile predicare bene quando si sta fuori, altrettanto ovvio razzolare male quando la cosa ci riguarda direttamente.

Musk ora si trova al punto in cui ha pagato moltissimi soldi per qualcosa che non li valeva ed è a rischio, deve cercare di stare a galla in tutti i modi possibili, monetizzare ogni virgola, ridurre i costi e aumentare i profitti il più possibile. Come fare a ridurre i costi? Vanno tolte molte cose, a partire dal team di moderazione. Lui – come dice in un’intervista – si basa sulla premessa secondo cui se le persone sono identificate o identificabili allora si riduce l’hate speech. Questa cosa della riduzione delle fake news in questo caso non è provata e basta vedere che i principali spargitori di fake in Usa sono politici e parlamentari repubblicani. Musk stesso ha retwittato la fake news relativa al marito di Nancy Pelosi, quel tipo di notizie che incitano all’odio. Rimane convinto che le azioni che compie siano la soluzione semplice ed elegante: faccio pagare la gente, faccio in modo di far venire a galla solo chi paga e sarà la parte pulita e proba. Sono però convinto che si sbagli».

Twitter Mastodon e la concentrazione di potere

«Il vantaggio di Mastodon – risponde Quintarelli a una domanda in cui gli si chiede di fare un paragone tra le due piattaforme – non è per l’utente ma per la società. La concentrazione di potere è sempre un rischio, l’antitrust è nato non per ragioni economiche ma per limitare poteri e influenza politica. Questo potere non deve essere concentrato nelle mani di un individuo, non importa quanto sia buono e probo, ma deve essere sparso nella più grande quantità possibile di mani attraverso un sistema democratico: questo il punto sul quale si fonda l’antitrust.  Il fatto che Mastodon esista costituisce una valvola di sfogo rispetto al possibile abuso di potere di qualcuno che si prende Twitter. Non era necessario fino all’altro ieri, per ora siamo alle dichiarazione, però può essere che in futuro diventi necessario usarlo».

«Il ciberspazio negli anni ’80 come Mastodon oggi viene visto come un nuovo spazio in cui proiettiamo il meglio di noi stessi. Questa cosa sembra vera, è lo stesso effetto che hai quando la gente va a camminare in montagna: incroci delle persone e le saluti. In città le persone ti sfiorano, li mandi a quel paese. Mastodon è rimasto un ambiente pulito ed educato ma siamo ancora a livello degli utenti che vanno in montagna, ora sta diventando di più la passeggiata domenicale fuori porta. Bisogna vedere cosa succederà quando e se diventerà una metropoli».

Mastodon può quindi essere una valida alternativa a Twitter? «Il valore dei social sta nell’aspetto social, ovvero nella quantità di gente che c’è. Adesso comincia ad acquisire un valore più alto, prima era solo una piccola comunità e ora è molto più grande. Per l’utente singolo, ad oggi, non vedo una grande utilità. Per il sistema, invece, l’utilità è il non essere sottoposto ai giri d’umore del padrone di casa: puoi decidere di non essere ospite a casa di nessuno, o meglio, ti scegli a casa di chi andare ospite oppure ti fai la tua propria casetta».

La sfida della moderazione sulle piattaforme: una riflessione

«Tenere su Mastodon ora, con le persone che ci sono, costa poco e sta in piedi da solo. Quando la base degli utenti si allarga e inizia ad arrivare chi si comporta male, serve moderare. E la moderazione costa. Questa cosa ancora non la stiamo vivendo, stiamo appena cominciando a vedere la necessità e l’onere della moderazione sui vari server Mastodon. Il punto, lo sforzo complessivo sarà riuscire a mantenere il candore della gente che va in giro in montagna quando diventerà una metropoli e quando il costo della moderazione sarà così ingente da risultare difficilmente sostenibile per dei volontari che fino ad oggi gli davano un occhio durante il weekend», afferma l’informatico.

Perché la sfida della moderazione non la vinciamo mai? «Perché mentire non è un reato. Se fosse un reato, sarebbe più semplice. Certo, non è detto che lo risolvi con una legge ma l’assenza di legge sicuramente non lo risolve. Mentire non è un reato, diventa illecito farlo se con quell’informazione sbagliata si trae in inganno e si causa un danno. Il danno che si causa è ciò che è sanzionabile, non la menzogna in sé. Che la menzogna sia illecita sarebbe grave perché qualcuno dovrebbe essere incaricato di dire ciò che è vero e ciò che non lo è. Si tratta di qualcosa di complicato e di delicato e noi proviamo a prendere il toro per la coda e non per le corna: un virus lo combatti col vaccino che cerca di neutralizzare l’agente patogeno ma anche con altre misure che cercano di rallentarne la diffusione.

Serve andare oltre, trovare modi di rallentare la diffusione delle fake news: permettere ai fact checkers di agire su qualcosa prima che venga pubblicato, soprattutto se il bacino di utenti di una persona è molto ampio. In Taiwan esiste un team che monitora i contenuti virali e falsi e li contrasta con contenuti altrettanto virali e ironici. Così facendo si riescono a comunicare i messaggi scientificamente giusti con la viralità.

Chi ha dieci milioni di follower, inoltre, dovrebbe seguire regole diverse rispetto a chi ne ha cento. Se prima c’era distinzione tra l’individuo che diffondeva tramite volantino e l’editore che deve seguire leggi specifiche. Ora questo gap tecnologico tra individuo e editore non c’è più, c’è un continuum ma le regole sono quelle che valgono per l’individuo. Non è detto che non possano esserci regole diverse e progressive in funzione al numero di follower. Il problema alla radice di questo è che quando digitalizziamo una attività umana, la scala e la velocità vanno ben oltre i limiti dell’umano: la mia calcolatrice è infinitamente più veloce di me nel fare le radici quadrate e può farne milioni mentre io ne faccio una. L’istituzione analogica non può risolvere i problemi di scala digitale, quindi questa è la tensione alla base: inventarsi meccanismi per ridurre scala e velocità».

La conclusione, da Twitter a Mastodon

«Ad oggi ancora non è successo niente, per cui non è che ci sia un grande vantaggio a usare Mastondon rispetto a Twitter. Si tratta di una questione di sistema e di potere, il potere che ha Musk adesso – e che aveva chi gestiva Twitter prima – è enorme ed è bene pensare a delle alternative. Qualora qualcuno fosse arrivato e se lo fosse comprato, facendo cambiamenti strani, l’alternativa ci sarebbe stata. Ora è quello che si sta verificando e il fatto di avere una alternativa, Mastodon, è un valore».

In conclusione, «la verità è difficile deciderla, quindi sulle fake news è difficile poter pensare di intervenire. Il tema relativo al fatto che solo persone non identificate che spargono falsità e odio è tutt’altro che verificato. La mentalità di Musk pare non capire che se usi Twitter in Somalia non lo usi come in California: pensa che tutto il mondo sia dove vive e che tutti abbiano i suoi diritti ma non è così. Il diritto all’anonimato di non rivelare chi sono a chi non è tenuto a saperlo va garantito. Chi non è tenuto è una cosa dettata dalle leggi. Musk è un po’ sempliciotto da questo punto di vista, ma lo capisco: sta giocandosi una partita enorme. Una situazione complessa e non vorrei essere nei suoi panni».

Share this article