Il problema dei contenuti potenzialmente dannosi riguardanti il cibo sui social. L’intervista alla nutrizionista Francesca De Blasio
Chi cerca visibilità spesso punta sulle sfide e le persone, interessate dall'estremizzazione in generale, sono spinte a guardare questi video. Quando questo meccanismo viene applicato al cibo, però, le conseguenze per la salute possono essere gravi
16/01/2023 di Giordana Battisti
I vari e più noti social network, come TikTok, hanno delle regole per moderare i contenuti potenzialmente dannosi che abbiano a che fare anche con i disturbi del comportamento alimentare e hanno diversi sistemi per offrire supporto a chiunque possa averne bisogno. Nonostante questo sui social esistono da tempo e continuano a diffondersi dei trend sul cibo che assumono di volta in volta delle caratteristiche diverse: tra questi c’è anche quello del mangiare cibo spazzatura o scaduto come fosse una sorta di sfida. Il tiktoker Taylor Brice LeJeune, noto come “wafffler69“, pubblicava abitualmente video di questo genere: la notizia della sua morte, avvenuta lo scorso 11 gennaio probabilmente a causa di un attacco cardiaco, ha spinto alcuni utenti dei social network a riflettere su quanto siano potenzialmente dannosi contenuti di questo genere.
Per proporre una riflessione su questo argomento Giornalettismo ha contattato la biologa nutrizionista Francesca De Blasio che utilizza i social network anche per fare un’attività di divulgazione sui temi di cui è esperta.
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Il “cibo spazzatura” e le sfide sui social portano visualizzazioni: «Le persone sono interessate all’estremo, anche nel caso dell’alimentazione»
De Blasio spiega che non ci sono dubbi sul fatto che quella mostrata da LeJeune su TikTok fosse un’alimentazione scorretta e che «può rappresentare un fattore di rischio per l’insorgere di diverse patologie ad alto rischio di morte, come le malattie cardiovascolari». È plausibile quindi che la cattiva alimentazione possa aver contribuito al peggioramento delle condizioni di salute di LeJeune anche se per il momento non è possibile dimostrare che questo stile di vita abbia causato la sua morte. De Blasio spiega anche che è plausibile che le persone che promuovono una cattiva alimentazione sui social network la mettano in pratica anche nella vita di ogni giorno, quando non sono impegnati nella registrazione di contenuti da pubblicare sui social, e questo contribuisce al peggioramento delle condizioni di salute del soggetto. Secondo De Blasio la caratteristica che attira l’interesse gli utenti non è tanto rivolto al cibo in sé ma all’estremizzazione dell’azione del mangiare: «Si tratta di video che la maggior parte delle persone guarda senza porsi troppe domande, per distrarsi. Le persone sono curiose di vedere fino a che punto quella persona può arrivare, fino a dove qualcuno può spingersi nel mangiare “cibo spazzatura”, in questo caso». Questo solitamente assicura una visibilità notevole a chi pubblica contenuti simili e proprio la visibilità spinge a proporne di nuovi.
Per quanto riguarda i disturbi del comportamento alimentare De Blasio spiega che le persone che hanno un disturbo di questo genere sono spinte spesso a cercare su Internet e sui social network quali approcci o soluzioni sono stati adottati da altre persone che hanno lo stesso tipo di disturbo. I social possono essere un mezzo per promuovere un’alimentazione corretta e uno stile di vita sana ma allo stesso tempo questi contenuti possono essere travisati da chi ha un disturbo del comportamento alimentare. Per questo «le risposte a problemi che hanno a che fare con l’alimentazione vanno sempre cercate rivolgendosi ai professionisti e non cercando online, sui social o su Internet» conclude De Blasio.