La bufala della catena sms-whatsapp sulla richiesta di sangue dagli ospedali | RICETTA ROSSA

Il sesto articolo di Ricetta Rossa realizzato nell'ambito di un progetto - promosso dal Dipartimento Informazione ed Editoria - di debunking delle fake news in ambito sanitario contiene un importante contributo di Giampiero Briola, presidente di Avis

27/09/2023 di Redazione Giornalettismo

È una bufala sempreverde. Purtroppo. Perché – come via abbiamo detto più volte – quando le fake news investono un settore così delicato come è quello della donazione di sangue, assumono un carattere ancora più odioso e invasivo. Tra l’altro, a differenza di altre fake news sulle donazioni di sangue e il coronavirus che si sono diffuse solo dopo la pandemia, quella di cui abbiamo parlato in questa nuova puntata di Ricetta Rossa è una delle più vecchie e resistenti fake news da quando si sono diffusi i social network. In molti avranno sentito parlare del presunto messaggio – diffuso a mo’ di catena di Sant’Antonio su WhatsApp, su Facebook, ma anche via sms – dell’ospedale Meyer di Firenze che starebbe cercando sangue B positivo per un bambino di 17 mesi. Tra l’altro, questa storia ha un’altra caratteristica: si tratta di un elemento ricorsivo, di una sorta di schema che impone un ordine (ospedale X, bambino di Y anni, sangue di tipo Z) a cui si sostituiscono informazioni sempre diverse. Il problema è che, come ci ha spiegato il presidente dell’AVIS Giampiero Briola, mai una comunicazione del genere verrebbe fatta in questa forma.

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Bufale sulla donazione del sangue, il commento di Briola

«Le prime bufale di questo tipo sono state accertate – ci ha spiegato Briola – nel 2008 e richiamavano le necessità dell’ospedale Meyer di Firenze per la ricerca di un gruppo raro, il B positivo, che serviva a un bambino malato di leucemia. Ogni tanto questa fake news ricompare, purtroppo nello stesso modo. Quindi, non può essere già di per sé assolutamente credibile».

Sicuramente, come è emerso anche dall’analisi degli articoli che abbiamo esaminato per la preparazione di questo lavoro, quando comunicazioni che prevedono nello stesso schema sintattico le parole donazione, sangue e ospedale arrivano da fonti istituzionali, allora si tratta probabilmente di concreti appelli alla donazione. Anche perché spesso ci sono delle campagne che, a intervalli regolari, vengono promosse sui territori. Tuttavia, nessun messaggio arriverà mai direttamente al cittadino attraverso un messaggio, un post su Facebook o una chat WhatsApp.

«Sulle fake news di questo tipo, come quella correlata al Meyer e alle emergenze periodiche, ormai siamo diventati quasi indifferenti – continua Briola -. Il nostro compito è quello di rassicurare tutti, perché gli ospedali non funzionano in questo modo: non si possono basare su una chiamata dei donatori che sia fatta random e a caso, ma funzionano su una struttura ormai consolidata da molti anni e corrispondono alle proprie necessità attraverso le chiamate dei donatori». Anche perché il processo della donazione e della conservazione del sangue – soprattutto negli ultimi tempi – è stato fortemente regolamentato da normative europee e normative nazionali, per un totale di 11 interventi legislativi a partire dal 2007. In presenza di un apparato così solido, è evidente che non basti un singolo messaggino sul cellulare per far scattare la richiesta di donazione di sangue.

La circolazione di questa fake news presenta anche un altro livello di anomalia rispetto alle altre bufale di ambito sanitario. Solitamente l’inoltro di più messaggi o la pubblicazione di post in gruppi social più o meno numerosi non sono dovuti a un interesse speculativo degli utenti, ma – al contrario – alla concreta volontà di dare una mano, di far scattare la catena della solidarietà. Negli anni 2020-2022, la diffusione di tweet che contenevano il lessico proprio delle donazioni di sangue (compresi quelli legati a fake news) erano caratterizzati da un sentiment positivo da parte dell’autore, segnale del clima di ingenua collaborazione con cui si diffondono queste informazioni. Il problema, come sempre, sta a monte della catena. Chi la fa partire, ovviamente, è in malafede e approfitta dell’altrui disponibilità a condividere una informazione. Ma per quale motivo, nel 2023, c’è ancora chi fa partire questa sequenza di messaggi?

«Non riusciamo a comprendere chi lo fa per ottenere visibilità, perché un messaggio così è privo di riferimenti. O almeno ignoto è l’autore del primo messaggio: di solito parte da numeri di telefono a cui non risponde nessuno, o talmente vecchi da risultare inesistenti. Credo, invece, che ci sia la voglia di creare confusione o dare soddisfazione a se stesso attraverso il messaggio sulla piazza di Facebook che, come diceva Umberto Eco, è la piazza in cui tutti i cretini possono dire la loro opinione. Questo, però, è molto pericoloso perché messaggi del genere non hanno base scientifica. Purtroppo chi naviga e chi legge Facebook spesso prende questi messaggi come delle verità assolute. Ma verità non sono, perché poi non hanno – ripeto – nessuna base scientifica, non hanno nessuna correlazione con la realtà e sono dette spesso a sproposito» – ha concluso il presidente di AVIS.

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