Caso Sarti, rischia tre anni chi ha condiviso le sue fotografie. Ma solo per violazione della privacy

La deputata del Movimento 5 Stelle sta affrontando sulla propria pelle un vero e proprio caso di revenge porn. All’inizio il tutto era stato preso con leggerezza, poi con il passare dei giorni l’attenzione su di lei e sulle sue presunte foto hard che girano sul web è diventata sempre più morbosa facendo suonare un campanello d’allarme in Parlamento. Dopo quelle foto di Giulia Sarti, deputati e senatori sono pronti ad accelerare l’iter legislativo per approvare una legge sul revenge porn, come quella proposta dall’ex presidente della Camera Laura Boldrini, per acuire ancora di più le pene già previste dal codice penale e civile italiano.

Come spiega a Il Giornale il professore Ruben Razzante, docente di Diritto dell’Informazione all’Università Cattolica di Milano, chi condivide le foto di Giulia Sarti «sui social (compreso Whatsapp, ndr) rischia fino a tre anni di carcere in base all’articolo 167 del decreto legislativo 196/2003 sulla privacy». Quindi nessun riferimento al revenge porn, ma alla legge sul copyright e il diritto alla privacy rispetto alla pubblicazione e condivisione di contenuti riservati e personali senza autorizzazione da parte del soggetto interessato.

Chi condivide le foto di Giulia Sarti rischia 3 anni di carcere

Ma c’è una beffa, che rende indispensabile una legge sul revenge porn per evitare la morbosa attenzione e ricerca provocata dalle foto di Giulia Sarti. «Se una persona che riceve il video hot di una terza persona lo tiene per sé senza diffonderlo ulteriormente, il mio gesto non produce effetti pratici, anche se in linea teorica è avvenuto in violazione della legge sulla privacy – ha proseguito il professore Razzante –. Il reato si perfezione quando c’è una pluralità di persone che prendono atto del contenuto, come accade con la diffusione sui social che diventa virale».

La necessità di una legge sul revenge porn al più presto

Tutto questo, quindi, non basta. Per aggirare la normativa sulla privacy citata dal professor Razzante, dunque, basterebbe creare la famosa catena di Sant’Antonio con singoli scambi di contenuti privati. Il reato, infatti, si configurerebbe solamente in caso di condivisione con più persone, perché lì entrerebbe in gioco anche la questione diffamazione. Tutto questo, però, non può bastare e il caso Sarti può servire ad accelerare una legge sul revenge porn.

(foto di copertina: ANSA/SANDRO CAPATTI)

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