Theresa May rimanda, ancora, il voto del Parlamento su Brexit

Brexit ancora e sempre di più nel caos. Il Parlamento britannico avrebbe dovuto votare questa settimana il piano di uscita dall’Unione Europea, ma l’appuntamento è slittato in avanti ancora una volta. Theresa May, attualmente impegnata in un summit tra i leader europei e la Lega Araba a Sharm El-Sheikh, ha però garantito che il voto avverrà entro il 12 marzo.

Brexit, Theresa May rimanda il voto: il nuovo appuntamento è il 12 marzo

Theresa May arriverà a Bruxelles giovedì 28 febbraio per riprendere le negoziazioni in merito all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Per questo la decisione del Parlamento britannico è stato rimandato, ma il primo ministro ha dichiarato che «ci assicureremo che il voto avvenga entro il 12 marzo». Immediata l’indignazione del leader laburista Jeremy Corbyn , che ha definito questa decisione come «una scelta avventata e incosciente», ma la decisione di prendere tempo non è nuova, ed era prevedibile. Theresa May infatti deve affrontare una forte opposizioni del parlamento e una spaccatura interna al partito e al governo. Dopo la bocciatura del suo piano gennaio, Bruxelles si era mostrata restia ad aprire nuove trattative. Snodo centrale resta la questione irlandese: il backstop continua ad essere visto dall’opposizione inglese come un tradimento del voto popolare, poiché permetterebbe al Regno Unito di lasciare l’Unione Europea mantenendo una sorta di confine aperto. Un po’ come tenere il piede in due scarpe. Dall’altro lato, i leader europei hanno ribadito più volte che il backstop non è più negoziabile e che il piano di uscita presentato da Theresa May sia «il miglior accordo possibile».

Il rimando come messa nell’angolo contro un no-deal, ma c’è l’ombra delle elezioni europee

Rimandare il voto del Parlamento significa anche avvicinarsi sempre di più alla data di uscita dalla UE senza un accordo in mano. La possibilità di un no-deal è ormai data a Bruxelles come una probabilità concreta, e questo spaventa non poco Westminster. Forse Theresa May conta proprio su questo: arrivare alla vigilia del divorzio senza un piano alternativo potrebbe spingere il Parlamento britannico ad accettare quanto già negoziato. «Si sta parlando di un’estensione dell’articolo 50 per risolvere tutti i problemi» ha dichiarato alla stampa Theresa May da Sharp El-Sheik, «ma chiaramente non risolverebbe nulla». «Arriva un momento in cui bisogna prendere una decisione» ha aggiunto la premier. A meno che l’Ue non decida di dare più tempo. Un’ipotesi che non viene accolta con grandi entusiasmi, ma l’estensione del periodo di transizione post Brexit permetterebbe di aprire nuovi scenari di discussione e, nella migliore delle ipotesi, raggiungere un accordo che soddisfi davvero tutti. Secondo quanto riportato dal The Guardian che cita una fonte interna a Bruxelles, un’estensione di 21 mesi avrebbe senso anche perché coprirebbe il periodo di bilancio dell’UE e «faciliterebbe le cose», e sarebbe un’ipotesi supportata anche da Donald Tusk e dal primo ministro austriaco Sebastian Kurz, che durante la conferenza stampa dal Mar Rosso ha detto che «se all’inizio di marzo non ci sarò alcun supporto per l’accordo credo che sarebbe una buona idea posporre Brexit, poiché uno scenario con il no-deal sarebbe sconveniente». Un rimando della data di uscita porterebbe però il Regno Unito di fronte ad un altro dilemma: partecipare o meno alle elezioni europee di maggio? I suoi 73 parlamentari avrebbero un incarico a scadenza molto ravvicinata, ma dall’altro canto se gli inglesi non andassero a votare pur essendo ancora membri dell’Unione si realizzerebbe una violazione di diritto. E di certo, il tempo per andare a modificare quei trattati non c’è. 

(Credits immagine di copertina:  © Zheng Huansong/Xinhua via ZUMA Wire)

Share this article
TAGS