L’oro d’Italia agli italiani

Mentre si consuma lo scontro tra il governo e Via Nazionale, con gli attacchi dell’M5s ai vertici di Bankitalia, arriva l’intervista del presidente leghista della commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi, che apre un nuovo fronte dell’attacco dei gialloverdi alla gestione della nostra Banca Centrale. E questa volta l’obiettivo sono le riserve auree detenute dall’Istituto. “In Italia ci sono leggi per regolamentare la vendita dei panini in salumeria, manca però una norma che dica chiaramente di chi sono le riserve auree” ha dichiarato il leghista a La Stampa, sottolineando l’anomalia dell’oro gestito e detenuto, ma non “posseduto” dalla Banca d’Italia. “Ovunque le risorse auree sono formalmente detenute dallo Stato, la posizione anomala di Bankitalia deriva dalla sua storia. Da noi lo stato aveva banche d’interesse nazionale con quote di Bankitalia. Quando sono state privatizzate non è stata adeguata la legislazione” ha dichiarato l’economista della Lega, che in novembre aveva già presentato una proposta di legge sul tema a che insiste come Via Nazionale non ci sia nessun interesse a sottolineare come le riserve siano solo in “deposito” e non quindi detenute dal nostro istituto Centrale. Per Borghi una legge è fondamentale per “proteggere le nostre riserve auree da interessi stranieri”. Una posizione  ribadita anche da Matteo Salvini che si è affrettato a dichiarare: “Voglio che sia certificato e ratificato che l’oro di Banca d’Italia è degli italiani”.

L’oro di Bankitalia per finanziare le riforme del governo

L’impressione degli osservatori però è un’altra. In molti paventano l’ipotesi che l'”assalto” all’oro della Banca d’Italia sia propedeutica a superare le crescenti difficoltà finanziarie del governo gialloverde e scongiurare così, ad esempio, il temuto aumento dell’Iva. Una posizione che trova conferma nelle parole dell’economista Gabriele Gattozzi che, sul blog di Beppe Grillo in un intervento dello scorso settembre, lanciava la stoccata: “Quasi tutti i Paesi europei nel corso degli ultimi 20 anni – dai più ricchi ai più poveri – hanno venduto parte delle loro riserve auree”. L’ipotesi tra l’altro non è nuova, e venne già paventata dai governi Berlusconi e Prodi. Tentativi stoppati dall’allora governatore Mario Draghi in nome dell’indipendenza dell’Istituto di Via Nazionale.

Dove si trova l’oro italiano?

La nostra Banca Centrale è, ad oggi, uno dei maggiori detentori al mondo di metallo prezioso, con un ammontare di 2.400 tonnellate per un valore che oscilla dagli 80 ai 90 miliardi di euro. Un accumulo che si è prolungato negli anni, anche per far fede agli accordi di Bretton Woods, vigenti fino al 1971, che vedevano nel dollaro e nella convertibilità della moneta americana in oro, il maggiore fattore di stabilità del sistema valutario. In Italia, nel caveau di Palazzo Koch, ne sono conservati solo la metà, il resto si trova in USA (in prevalenza), Regno Unito e Svizzera. Le riserve auree hanno la funzione di rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e della moneta unica, soprattutto durante i periodi di crisi.  Intervistato sul tema dell’eventuale vendita di parte delle riserve auree di Bankitalia, nel corso dello scorso anno da Radio24, per far fronte alla crisi del nostro debito sovrano, il direttore generale  dell’Istituto aveva tagliato corto: “è al momento giuridicamente impossibile. C’è un accordo internazionale tra le banche centrali, che prevede che le vendite siano razionate, dunque ne potremmo vendere per poche centinaia di milioni alla volta. Nei fatti non si risolverebbe il problema del debito pubblico e daremmo un pessimo segnale al mondo. La vendita di oro da parte di un Paese darebbe il segnale di un gesto disperato“. Ma la disputa sulle ricche riserve di Via Nazionale potrebbe non finire qui.

 

 

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