La madre di Marco Vannini chiede che il processo riparta da zero

03/02/2019 di Enzo Boldi

La derubricazione del reato – da omicidio volontario a colposo – nei confronti di Antonio Ciontoli continua a far discutere. La Corte d’Appello di Roma, la scorsa settimana, ha condannato l’uomo a cinque anni di carcere per la morte di Marco Vannini, fidanzato di sua figlia, con uno sconto (dovuto al reato contestato) di nove anni anni rispetto ai 14 previsti dalla sentenza di primo grado. Ora la signora Marina Conte, madre del giovane ucciso a Ladispoli il 18 maggio 2015, chiede che il processo ricominci da zero.

«Il ministro Bonafede mi ha chiamato invitandomi in Parlamento – spiega Marina Conte a Il Messaggero -, colloquio che avverrà entro due settimane. Non vedo l’ora di dirgli di persona cosa penso delle attività investigative svolte sulla morte di mio figlio e cosa penso del processo in generale. Chiederò che tutto ricominci da zero. Se in Cassazione questa vergognosa sentenza non dovesse essere ribaltata, siamo pronti a ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo». La madre di Marco Vannini è convinta che l’errore non sia stato solo nella sentenza della Corte d’Appello, ma soprattutto delle indagini che non hanno fatto luce su cosa sia accaduto quella sera nella villetta di Ladispoli.

A breve l’incontro tra la madre di Marco Vannini e il ministro Bonafede

«Mio figlio non avrebbe mai permesso che Ciontoli entrasse in bagno mentre era in doccia – spiega la madre di Marco Vannini -. L’unica stanza ordinata e ripulita in modo maniacale era quella di Martina (la fidanzata del giovane e figlia del condannato per omicidio colposo, ndr), di solito disordinata. Una coincidenza o la sua camera è stata rimessa a posto?». È questa una delle convinzioni che smuove Marina Conte a chiedere la revisione integrale del processo, dei capi di imputazione non solo a carico di Antonio Ciontoli, ma di tutta la sua famiglia.

Gli interrogativi sulle indagini

A confermare la tesi della madre di Marco Vannini ci sono anche le intercettazioni ambientali e telefoniche, che metterebbero in evidenza l’omicidio volontario. Poi la decisione di non sequestrare la villetta di Ladispoli dove è avvenuto l’omicidio, così come il mancato sequestro del telefonino di servizio di Antonio Ciontoli. Tra i tanti atti di accusa nei confronti delle indagini, c’è anche la decisione da parte degli investigatori di non utilizzare il luminol per scoprire le tracce di sangue, così come la misteriosa sparizione della maglietta indossata dal giovane Marco quella sera del maggio 2015. Una serie di incongruenze e interrogativi che la madre del 18enne ucciso a Ladispoli porterà al ministro delle Giustizia.

(foto di copertina: Archivio Ansa)

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