#CiPassaLaFame, il digiuno collettivo per difendere i diritti umani dei migranti

Un digiuno per far riflettere, al di là degli slogan elettorali di cui ci si riempie la bocca. È nata così #CiPassaLaFame, una mobilitazione che ha raccolto l’apprezzamento di numerose persone, decise a ‘saltare’ il proprio pranzo o la propria cena (o entrambi i pasti) e devolvere quanto risparmiato ad associazioni umanitarie che si occupano di migranti e delle condizioni in cui sono costretti a vivere e sopravvivere.

La data scelta, non a caso, è il 28 gennaio: «Una giornata intera senza mangiare in ricordo di chi ha perso la vita nel Mediterraneo, col pensiero alle migliaia di uomini, donne e bambini ancora oggi bloccati nei lager in Libia, e in solidarietà con tutti i migranti già in Italia e in Europa, che vedono la loro ricerca di una vita migliore ostacolata da leggi ingiuste e controproducenti – si legge nel sito ufficiale di #CiPassaLaFame -. Abbiamo scelto il 28 Gennaio, in continuità con la Giornata della Memoria, per ricordarci che la morte e la miseria umana sono ancora qui, a pochi chilometri da noi, e non possiamo più accettarlo».

#CiPassaLaFame, il digiuno per i diritti umani

L’iniziativa è partita sui social, attraverso un post Facebook condiviso da Daniela Biella, giornalista di Vita Non Profit, che nel settembre 2017 salì a bordo della nave Aquarius e si rese conto delle condizioni di sopravvivenza a cui erano costretti a vivere i migranti soccorsi. «Ho visto segni orribilmente profondi di colpi d’accetta sulle piante dei piedi di un ragazzo: glieli avevano fatti gli aguzzini nelle prigioni illegali libiche – racconta Daniela Biella -. Quando l’ho incontrato zoppicava soffrendo a dismisura. Ho visto una donna le cui parti intime erano state così ripetutamente violate durante la prigionia che non riusciva né a tenersi in piedi né a indossare alcun indumento senza provare dolore. Quando l’ho incontrata era un fantasma di se stessa».

Riflettere su ciò che succede ai migranti ‘in casa loro’

Perché a far riflettere non devono essere solamente le condizioni ‘finali’, quelle che siamo abituati a vedere quando migliaia di persone in fuga dalla guerra vengono soccorse (le più fortunate) per poi partire alla ricerca di un porto sicuro. Ad aprire la mente a una riflessione più profonda, al di là degli slogan ‘Aiutiamoli a casa loro’, sono le loro vite segnate dalle barbarie. «Ho visto braccia e gambe di diversi ragazzini marchiate con plastica fusa, sempre da parte degli aguzzini che ricattavano al telefono i loro familiari – scrive ancora Daniela Biella -. Quando li ho incontrati mi mostravano i segni ma erano sollevati di essere usciti da quell’inferno sani e salvi. Il ragazzo, la donna, i ragazzini li ho conosciuti tutti nello stesso giorno, quel 14 settembre 2017 in cui come giornalista a bordo della nave Aquarius ho testimoniato il salvataggio di 371 persone di 16 nazionalità diverse. Ho le foto qui davanti delle atrocità che vi ho descritto: scelgo di non metterle, ma chiudete gli occhi e immaginatele, per favore. Le ho fatte io e io ve le sto descrivendo»

(foto di copertina da sito ufficiale #CiPassaLaFame)

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