Migranti: l’Europa paga, l’Italia fornisce navi, ma la Libia non risponde

Il corto circuito del motto «aiutiamoli a casa loro». L’ultima strage di esseri umani nel Mediterraneo spinge in molti a una riflessione: come è possibile che l’Unione Europea versi 338 milioni di euro nelle casse della Libia per la gestione dei flussi migratori e davanti alle loro coste si continui a perdere la vita senza ricevere alcun soccorso? Gli ultimi 170 morti – come se ci volesse un numero così alto di decessi – devono far riflettere sull’uso dei fondi e delle attrezzature tecniche che sono state fornite allo Stato Nordafricano, senza nessun riflesso.

Perché c’è anche l’Italia di mezzo. Come racconta il quotidiano La Repubblica , oltre a far parte dell’Unione Europea – quindi parte in causa nel versamento di quei 338 milioni – il nostro Paese ha fornito alla Libia (rigorosamente gratis) dieci motovedette da destinare alla guardia costiera, oltre all’impegno di addestrare un centinaio di ufficiali per la gestione dei flussi migratori nella zona Sar (Search and Rescue). Il patto venne sancito dal premier di allora – era il febbraio 2017 – Paolo Gentiloni, ma dalla Libia spiegano che le navi si rompono e hanno bisogno di manutenzione.

Soldi, motovedette e formazione: ma i morti sono sempre di più

Nello scorso mese di luglio fu la volta di Matteo Salvini che donò alla Libia due pattugliatori della classe ‘corrubia’ e 12 gommoni classe 500. Poi altri favori al paese libico, con il governo che ha protocollato una gara d’appalto da circa 9,3 milioni (tutti da fondi Ue) per la fornitura di 20 gommoni super veloci. Chi vincerà la gara si impegnerà anche nell’addestramento (di 30 ore) di almeno quattro operatori. Dal 2017 a oggi, scrive Repubblica, tutte le commesse per Tripoli hanno visto sempre un solo vincitore: l’azienda Veneta ‘Cantiere Navale Vittoria’.

La farsa della Libia e del motto «aiutiamoli a casa loro»

Un grande impegno dell’Italia e dell’Europa in sostegno della Libia. Ma, come capita spesso – quasi sempre – in occasione di naufragi a largo delle coste libiche, il telefono della zona Sar di Tripoli non risponde. Dietro a quella cornetta ci dovrebbero essere gli uomini addestrati dall’Italia e dall’Europa. Quelli per cui la Libia ottiene ogni anno i fondi per la gestione dei migranti. Ma lì nessuno risponde e le persone continuano a morire in mare. Salvini dà la colpa alle Ong, ma questo è il fallimento del motto elettorale «aiutiamoli a casa loro».

(foto di copertina: ANSA/GIUSEPPE LAMI)

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