Jagärhär, il gruppo svedese che combatte l’odio online un commento alla volta

Jagärhär  significa “Io Sono Qui”. È il nome del gruppo Facebook nato nel 2016 per iniziativa della giornalista svedese Mina Dennert e ha una missione al contempo semplice quanto importante: combattere l’odio online. Come? Con le stesse armi usate dai troll: i commenti sui social network.

Jagärhär: come nasce il gruppo che combattere l’odio online un commento alla volta

Dietro alla nascita del gruppo su Facebook, che ora conta più di 70mila iscritti, non c’era nessuna campagna pubblicitaria, nessuna organizzazione a scopo di lucro, nessuna intenzione politica. La molla che ha spinto Mina Dennert è stata «vedere persone che non mi aspettavo iniziare a ripubblicare cose davvero razziste». Una cosa che succede a tutti. Sempre più persone online si fanno travolgere da fake news che incitano all’odio, al razzismo, all’omofobia. E a volte a rendere quei contenuti virali sono anche le condivisioni di insospettabili amici che abbiamo sui social network. Spesso senza neanche rendersi davvero conto di ciò che stanno facendo. La prima iniziativa di jagärhär è stata quella di chiedere a chi condivideva fake news delle prove a sostegno delle loro tesi. Un’azione abbastanza elementare, che però è stata notata dagli utenti di Facebook che probabilmente si facevano la stessa domanda, ma preferivano lasciar perdere. Il giorno dopo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, Mina Dennert ha visto balzare le richieste per entrare nel gruppo. Un segno che la strada intrapresa dalla giornalista era quella giusta. Nei mesi successivi, #jagärhär si è evoluto modificando il suo approccio, sposando una maggiore neutralità e cercando di mobilitare forme di sostegno verso persone che venivano molestate online. Un’azione che richiede  pochi click: andare nella sezione dei commenti affollati di odio, e scrivere messaggi di supporto, facendo virare la natura della conversazione.

Uno dei primi esempi è stato l’intervento nei commenti rivolti a Linnéa Claeson. Si tratta di una giornalista e attivista, famosa su Instagram per il suo account @assholesonline: ogni giorno condivide gli screenshot dei messaggi terribili che le arrivano, tutta colpa dei suoi capelli color arcobaleno e delle sue idee femministe. Quando il gruppo jagärhär è intervenuto la conversazione è cambiata radicalmente.  Tanto che il quotidiano svedese Aftonbladet ha persino iniziato a moderare i commenti sulla sua pagina Facebook , cancellando i peggiori esempi di incitamento all’odio che erano rivolti a Claeson, la quale ha pubblicamente ringraziato il gruppo: «È così stancante che tutto ciò che ha a che fare con me ha una connotazione così negativa. Grazie per l’amore».

Combattere l’odio con sentimenti positivi può sembrare banale, ma nell’epoca dei social network e dei leoni da tastiera è un concetto rivoluzionario. «Certo, i social media non riflettono la popolazione generale, ma quando leggi la sezione dei commenti, hai spesso l’impressione che l’80% della popolazione pensi che l’omosessualità sia una malattia, per esempio» ha detto Mina Dennert durante un’intervista «vogliamo che la sezione dei commenti assomigli più alla società e il modo per farlo è consentire alle persone di parlare e partecipare». L’azione non è stata notata solo dalle vittime del bullismo online. Dennert ha vinto diversi premi per il suo lavoro, tra cui il prestigioso premio Anna Lindh nel 2017 per il sostegno agli ideali giusti e democratici. E il gruppo rock svedese “Kent“, ha anche donato al gruppo i proventi di un’asta fotografica. Molte aziende l’hanno contattata per collaborare, per proporre iniziative congiunte, per dare un supporto economico all’iniziativa. Almeno, fino a quando i troll non hanno deciso di contrattaccare.

Neanche Jagärhär è esule dall’odio online

«Il primo anno, siamo stati così amati e abbiamo vinto tutti questi premi, e tutti volevano lavorare con noi» ha raccontato Mina al Guardian «Ma una volta che gli attacchi sono iniziati, le persone che volevano collaborare con noi, si sono completamente fermati. Erano spaventati». Gli haters hanno condiviso online dati sensibili su Mina e sul marito, anch’egli giornalista, Magnus Dennert, e sono stati accusati di censurare le opinioni dei membri del gruppo. In più, i leoni da tastiera stanno cercando di snaturare l’iniziativa usando le stesse armi, ovvero scrivendo sempre più commenti negativi, omofobi e razzisti. Ad esempio, sotto un post che invitava le persone a donare dei vestiti ai rifugiati, il tono dei commenti era «Ha-ha-ha, spazzatura per la spazzatura!».

Secondo Orla Vigsö, professore nel dipartimento di giornalismo, media e comunicazione dell’Università di Göteborg, è davvero difficile che l’hashtag #jagärhär possa realmente modificare gli algoritmi di Facebook poiché « i troll e le persone all’estrema destra sono molto più prolifici e molto organizzati». Intanto però, l’iniziativa, internazionalizzata con la traduzione #iamhere, si sta diffondendo, uscendo dai confini svedesi. Gruppi gemelli sono nati in altri paesi europei: in Germania sono già più di 45mila utenti e in Slovacchia 6mila iscritti. L’unica cosa da fare è unirsi a questo esercito dell’amore. Sopratutto in Italia dove fake news e incitamento all’odio sono ormai all’ordine del giorno.

(Credits immagine di copertina: Mina Dennert Facebook

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