Giulia Bongiorno ha un problema con l’inglese nella pubblica amministrazione

C’è l’inglese ovunque. Qualsiasi posto di lavoro richiede una conoscenza avanzata della lingua straniera. Il mondo intero va verso una comunicazione il più possibile universale che abbia nell’inglese il tratto comune. Eppure, il ministro della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno sembra essersi lanciata in una crociata persa in partenza contro l’inglese tra i dipendenti pubblici.

Giulia Bongiorno inglese: le sue perplessità

Nell’intervista rilasciata questa mattina a Libero, la Bongiorno spiega di essere convinta di voler limitare l’abuso della lingua inglese nella pubblica amministrazione. «Ogni volta che si può bisognerebbe servirsi dell’italiano – ha affermato il ministro eletto in Parlamento tra le fila della Lega -. Anche per evitare fraintendimenti. Faccio un esempio: nel 2009 è stata approvata la legge sugli atti persecutori; nemmeno il tempo di approvarla ed è stata ribattezzata “legge sullo stalking”. Si è giunti al paradosso che, se oggi si chiede un parere riguardo alla legge sugli atti persecutori, molti non sanno nemmeno di che cosa si tratti!».

Secondo la Bongiorno, i dipendenti pubblici possono trovare ostacoli con l’inglese proprio in un momento cruciale come quello della digitalizzazione della pubblica amministrazione. Parole come  digital by default, once only, cybersecurity, big data, sempre secondo la Bongiorno, possono essere considerate ostili.

Cosa non va nella visione dell’inglese nella PA da parte di Giulia Bongiorno

Prima l’italiano, insomma. Del resto, l’ex avvocato difensore di Giulio Andreotti non smentisce – neanche a livello linguistico – lo slogan del partito che le ha permesso di sedere in Parlamento. Sorprende, però, che il ministro Bongiorno possa avere un’opinione così tranchant sull’inglese, soprattutto perché le competenze in una lingua straniera sono sempre più richieste anche nei concorsi pubblici che il suo stesso governo continua a organizzare. Siamo di fronte a una sorta di disparità e di contraddizione: chiediamo come prerequisito fondamentale la conoscenza dell’inglese, ma poi preferiamo che nella pubblica amministrazione non si usi.

«Usare le parole italiane è importante – ha affermato la Bongiorno -: possedere le parole ci permette di possedere i pensieri e le azioni a cui quelle parole rinviano. E più significati possediamo, più diventa facile esprimersi con proprietà e precisione». Già. Ma non si capisce perché questa cosa qui dovrebbe poter escludere una competenza linguistica altra, sempre più necessaria al giorno d’oggi. Ma questo è il governo del cambiamento.

FOTO: ANSA/PAOLO MAGNI

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