«Hakuna Matata» è un’appropriazione culturale

«Hakuna Matata, ma che dolce poesia» diceva Timon a Simba, per insegnarli a vivere con più leggerezza. L’espressione Swahili che significa nessun problema è diventata uno degli slogan simbolo del cartone animato, tanto che nel 2003 è stata registrata come un marchio di fabbrica per l’industria tessile. Un’azione «aberrante» per i media Kenioti, che hanno accusato la Disney di appropriazione culturale e lanciato una raccolta firme alla viglia dell’uscita del live-action.

Hakuna Matata non è nata per il film

La lingua Swahili  è la più parlata nell’Africa orientale. È la lingua ufficiale del Kenya, della Repubblica Democratica del Congo e dell’Uganda, ma viene usata anche in gran parte dell’Africa sub-sahariana. Si stima che a parlarla siano tra i 60 e i 150 milioni di persone. Eppure, per la Walt Disney vale come lo slogan di un brand. Dopo il successo del cartone animato del 1994 e della canzone di Elthon John, la multinazionale statunitense ha avviato un percorso di registrazione della frase per contrastare il merchandise non ufficiale. Nel 2003 «Hakuna Matata» è diventato ufficialmente un marchio per l’industria tessile: questo significa che Disney è legittimata a citare in giudizio chiunque la scriva su magliette, felpe, borse e via dicendo.

Hakuna Matata, la petizione per slegarla dal marchio

Con l’annuncio del remake del film in versione Live-action è riemersa la polemica sull’appropriazione culturale, tanto che l’attivista dello Zimbabwe Shelton Mpala ha lanciato una petizione contro Disney, accusando la registrazione del marchio di essere una forma di  «furto e colonialismo». «La Disney non può avere il marchio di fabbrica di qualcosa che non ha inventato» scrive l’attivista, che su change.org ha già superato le 36mila firme. A novembre invece era stata la scrittrice Cathy Mputhia a invitare gli africani orientali, attraverso un articolo pubblicato sul giornale Keniota Business Daily, aa difendere la loro «eredità, cultura e identità dallo sfruttamento di forze esterne», citando proprio il marchio Hakuna Matata come uno degli esempi principe dell’appropriazione culturale. Un’altro scrittore che è diventato voce autorevole nella discussione che negli ultimi mesi che ha dominato su giornali, social network e blog africani, è Ngũgĩ wa Thiong’o. Il professore di letteratura comparata presso la School of Humanities della University of California, Irvine, si è detto «inorridito» dalla mossa commerciale di Disney, aggiungendo che «sarebbe come se diventassero un marchio di fabbrica frasi come “​​buongiorno” o “piove a catinelle”». Hakuna matata «è una frase comune che usiamo quotidianamente, nessuna azienda può possederlo» ha concluso Thiong’o.

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