Spotify arriva in Palestina

Cecilia Qvist, la Global Head of Markets Spotify aveva fatto un annuncio importante il 15 novembre dichiarando che «Spotify lancia in Medio Oriente e in Nord Africa un servizio con un’esperienza utente completamente araba». Il servizio di streaming musicale è ora disponibile in 13 nuovi paesi, tra cui anche i territori occupati.

Spotify apre una finestra sulla cultura musicale araba

«L’hub arabo offre una piattaforma unica che porta l’intero spettro della cultura e della creatività arabe, passate e presenti» ha detto a Reuters Suhel Nafar, musicista della città israeliana di Lod e redattore senior di musica e cultura araba della piattaforma. Apple Music e YouTube erano già presenti, ma Spotify sostiene che si tratta del primo caso in cui un servizio di streaming crea un programma specifico per i territori palestinesi occupati: un’opportunità per far conoscere un altro aspetto della cultura mediorientale, e pare che già in pochi giorni la risposta sia stata estremamente positiva. «Dopo il lancio, i miei follower mensili (su Spotify) sono aumentati da 30 a qualcosa come 6.500» ha raccontato sempre alla Reuters Bashar Murad, un cantante palestinese che risiede a Gerusalemme est. Il servizio ripropone le stesse funzionalità che conosciamo: playlist per ogni stato d’animo curate localmente e l’accesso a un catalogo di milioni di titoli, compresi i suggerimenti in base ai brani preferiti o ascoltati più spesso.

Per caricare la musica bisogna, ancora, andare al bar

Tuttavia, far funzionare Spotify nella Palestina di oggi è ancora assai complesso, almeno nella versione “on the go”. Nella striscia di Gaza infatti c’è solo il 2G, mentre la West Bank ha lanciato un servizio 3G solo alla fine del 2017. Fino ad ora per i palestinesi era possibile sfruttare Spotify creando dei finti account registrati in Israele o nei paesi circostanti, ma il riconoscimento da parte della piattaforma di streaming è stata ben accolta dagli utenti e sopratutto dai musicisti.  Bashar Murad ha dichiarato che «nonostante le restrizioni, è un’opportunità di inclusione e unione attraverso i social media» anche se dice di non vedere l’ora che arrivi sul 3G per poter godere appieno dell’esperienza. L’artista rap di Gaza Mohammed Al-Susi ha raccontato che dovrà «essere a casa o in un bar o in un posto dove c’è una buona connessione internet per poter caricare le mie canzoni su Spotify», ma ha sottolineato che si tratta di un passo importante per far conoscere nel mondo gli artisti arabi, che spesso non possono lasciare il paese per fare concerti.

Non solo la Palestina

In totale sono 13 i paesi in cui da novembre è possibile usufruire del servizio di musica e si tratta di Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Kuwait, Oman, Qatar, Bahrain, Algeria, Marocco, Tunisia, Giordania, Libano, Territori palestinesi, Egitto.

Claudius Boller, il managing director di Spotify nel Medio Oriente e Nord Africa ha dichiarato alla BBC che si tratta di territori «che rappresentano una grande opportunità per noi» aggiungendo che il nuovo pubblico MENA corrisponde alla «seconda popolazione più giovane al mondo, e ora con le ultime statistiche e cifre che abbiamo sulla penetrazione degli smartphone e di internet, vediamo che è questo il momento giusto per lanciare Spotify e renderlo disponibile in quelle aree». Una selezione di musica araba è disponibile anche per gli utenti del resto del globo: esiste una playlist che si chiama “Arab Indie” che non ha nulla da invidiare alla popolarissima Indie Italia. Chissà, forse la prossima estate il nuovo Tommaso Paradiso arriverà proprio dalla West Bank.

(Credits immagine di copertina: © Igor Golovniov/SOPA Images via ZUMA Wire)

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