Perché uno condannato per ‘ndrangheta vuole parlare con Salvini?

Nella storia – ormai decennale – della cattura di ostaggi (o delle minacce di suicidio avvenute in luoghi pubblici) con tanto di lunghe trattative con le forze dell’ordine, eravamo sempre stati abituati al protagonista di turno che chiedeva di parlare con l’uomo politico più influente o con una persona che poteva essere considerata il suo punto di riferimento. Francesco Amato, condannato a 19 anni nel processo Aemilia che ha fatto emergere la potenza della ‘ndrangheta calabrese anche nel nord Italia, ha chiesto invece di poter parlare con il ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Francesco Amato ha chiesto di parlare con Matteo Salvini

La richiesta sarà difficilmente esaudita – al netto di clamorosi colpi di scena -. Matteo Salvini, in questo momento, è in viaggio per il Ghana dove sta per chiudere un accordo con il governo locale per la cooperazione internazionale e per «cercare che i ragazzi abbiano un futuro a casa loro», stando al suo recente tweet. Si potrebbe organizzare una chiamata Skype con il ministro dell’Interno, ma è chiedere davvero troppo, anche per un personaggio mediatico come il leader della Lega.

Ma la cosa che fa più strano è: perché una persona condannata per ‘ndrangheta dovrebbe voler parlare con Matteo Salvini? Ritiene ingiusta la pena che gli è stata comminata? E allora sarebbe più opportuno parlare con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Vuole lanciare un messaggio forte al Paese? E allora sarebbe stato meglio chiedere l’intervento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte o, addirittura, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Matteo Salvini viene interpellato da un condannato per ‘ndrangheta

Invece, l’uomo che è stato condannato a 19 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso ha chiesto l’intervento di Matteo Salvini. Che in Calabria è stato eletto senatore. Che ha affermato più volte – anche se gli è stato sempre rimproverato dalla stampa di essere piuttosto tenero con la ‘ndrangheta – che la mafia «fa schifo». Cosa potrebbe dare a una persona con questa condanna sulle spalle un uomo delle istituzioni che, stando ai suoi proclami, con quel mondo non vuole avere nulla a che fare?

Siamo di fronte all’ennesima distorsione della realtà data dai mezzi di comunicazione di massa, che Matteo Salvini ha saputo magistralmente utilizzare. Se anche un condannato – per associazione mafiosa, poi! – vede nel leader della Lega il suo punto di riferimento, l’unica persona con cui avviare una trattativa, con cui dialogare, passando oltre rispetto alle forze dell’ordine e alle altre autorità presenti davanti all’ufficio postale di Pieve Modolena, dove ha con sé cinque ostaggi, allora si fa davvero fatica a comprendere le dinamiche di questa nuova società. Che mischia i piani e i livelli. E che confonde la legalità con il suo contrario.

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