Perché Unicef non ha querelato il cognato di Renzi (davvero)

Gira sui social un video, molto condiviso da alcuni esponenti M5S, girato da Roberto Lipari che parla della vicenda Unicef-Conticini finita sui giornali questa estate. Unicef New York non ha infatti sporto querela nei confronti dei fratelli Conticini (tra cui Alessandro Conticini, cognato di Renzi) indagati dalla Procura di Firenze perché accusati di aver utilizzato a fini personali parte dei fondi versati dalle associazioni umanitarie alla loro Play Therapy Africa. Nello specifico l’indagine, partita nel 2016, parla di 6,6 milioni di dollari. Dopo una serie di “approfondimenti interni” Paolo Rozera, direttore di Unicef Italia al suo rientro da New York, ha spiegato che il Fondo delle Nazioni Unite non denuncerà.

Si grida al complotto a favore del cognato di Renzi, ma pochi si sono presi la briga di capire perché Unicef non abbia sporto denuncia. Partiamo però da alcuni elementi. Con il decreto approvato dal Governo Gentiloni alcuni reati in Italia, in particolare i “delitti contro il patrimonio”, non sono procedibili d’ufficio ma tramite querela delle parti offese. Nei casi rientra la truffa, la frode informatica e l’appropriazione indebita, casistiche similari a quelle delle persone coinvolte nell’indagine partita da Firenze. Senza querela da parte dell’organizzazione internazionale l’indagine Conticini (dove, ribadiamo, i diretti interessati hanno respinto le accuse subite sulla vicenda) potrebbe subire un contraccolpo.

A fare da cassa da risonanza in queste ore ci ha pensato Alessandro Di Battista, che ha notato (cercando su Google) che nel Consiglio Direttivo di Unicef Italia figurano Giovanni Malagò e Walter Veltroni. «Io do un consiglio non richiesto a Unicef: querelate, saranno i magistrati italiani a fare chiarezza. Ne va della vostra credibilità. Un’organizzazione che vive soprattutto grazie alle donazioni di migliaia di cittadini non solo deve essere trasparente, deve apparire trasparente perché chi semina dubbi non raccoglie più niente», ha detto l’ex deputato. Tralasciando il fatto che deve esser Unicef New York a sporgere denuncia come realtà offesa e non Unicef Italia perché non c’è stata la denuncia?

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A CHE PUNTO SI TROVA L’INDAGINE SUI CONTICINI

Prima di fornirvi la versione di Unicef spieghiamo a che punto è l’indagine fiorentina. I pm Luca Turco e Giuseppina Mione lo scorso agosto hanno dovuto trasmettere richiesta di rogatoria internazionale alle ipotizzate parti lese: Unicef New York, Fondazione Pulitzer, Action Usa. Il fascicolo delle indagini – spiegava il Fatto Quotidiano questo agosto – era praticamente chiuso: mancavano solo gli esiti delle rogatorie. La società di Conticini, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe ricevuto cospicue donazioni dagli Usa. Riportava il Fatto: «In particolare da Unicef (3,8 milioni di dollari tra 2008 e 2013) e Fondazione Pulitzer (5,5 milioni di dollari tra 2009 e 2016 transitati dalla onlus Operations Usa). Altri 900mila dollari complessivi sarebbero arrivati dalle ong Australian High Commission, Avsi, Fxb, Mobility without barriers foundation, Oak, Undp, France Volontaires». Secondo l’accusa i fratelli Conticini avrebbero dirottato ben 6,6 milioni di circa 10 complessivi ricevuti per aiutare i bambini in Africa, su conti correnti personali usandoli per investimenti immobiliari all’estero e altre operazioni finanziarie.

LA VERSIONE DI UNICEF CHE I 5 STELLE SEMBRANO IGNORARE

Parliamo dei  3,8 milioni di dollari versati dall’UNICEF alla società Play Therapy Africa Ltd. Non sei milioni e passa come spiegano nel popolarissimo video. «”Play Therapy Africa” – recita una nota dell’organizzazione internazionale – è stata una tra le migliaia di implementing partner con cui l’UNICEF ha avuto a che fare nel corso degli anni, negli oltre 150 Paesi in via di sviluppo in cui opera stabilmente».
Nell’ottobre 2008 l’UNICEF ha stipulato un primo contratto con Play Therapy, con lo specifico incarico di fornire «analisi e servizi di assistenza psicologica tramite approccio ludico ai bambini vittime di traumi».
PTA era una nuova nel campo della cooperazione internazionale, ma vantava l’accreditamento da parte di una buona ONG internazionale (la Play Therapy International). All’epoca PTA era diretta da Alessandro Conticini che alle spalle contava diversi impieghi nel settore, tra cui l’incarico per alcuni anni come Child Protection Specialist presso l’UNICEF Etiopia. Siccome la prima fase di collaborazione sembrava andare bene Unicef ha stretto con PTA una estensione della collaborazione a dieci paesi (anche fuori dall’Africa).

Data la buona qualità dei lavori svolti nella prima fase del rapporto, PTA ha esteso la sua collaborazione con l’UNICEF a diversi paesi (10 in tutto), anche al di fuori dell’Africa. Successivamente, spiega Unicef, la qualità delle prestazioni «fornite è risultata sempre meno soddisfacente, e nel 2013 l’UNICEF ha valutato di interrompere definitivamente il rapporto contrattuale».

Da quel momento si sono conclusi i rapporti fra UNICEF, Play Therapy Africa e Alessandro Conticini.

E qui passiamo al nocciolo della questione. Il rapporto collaborativo si è chiuso. non sono stati prelevati soldi dall’Unicef ma è stata pagata PTA per alcuni progetti. Progetti che poi, nel corso degli anni, sono risultati meno soddisfacenti causando l’interruzione di rapporto. L’organizzazione sottolinea:

L’UNICEF non conosce (né avrebbe mai modo di saperlo) l’uso che è stato fatto delle somme percepite da Play Therapy Africa quale implementing partner, e che secondo quanto è dato sapere sull’inchiesta, avrebbero in parte beneficiato società afferenti alla famiglia Conticini-Renzi.  
Si tratta di eventi totalmente estranei al rapporto tra UNICEF e PTA e, sebbene ci sembri assurdo doverlo sottolineare, un committente non può essere chiamato a rispondere di ciò che un fornitore fa con i soldi ricevuti per il servizio reso.
Conticini non ha mai avuto accesso ai soldi dell’UNICEF, mentre ovviamente non possiamo sapere se e in quale modo abbia avuto accesso ai soldi di PTA. 
Chiaro? Io ti pago per un progetto, controllo se questo progetto va bene. Va bene? Ok, allora estendiamolo anche ad altri dieci paesi. Come stanno andando i progetti? Bene, continuiamo. Come stanno andando dopo due, tre anni gli stessi progetti? Non in modo soddisfacente. Chiudiamo il rapporto.
L’Unicef ha fatto orecchie da mercante nei confronti dei magistrati italiani? No. Ai primi di agosto a New York non avevano ancora ricevuto la richiesta di rogatoria internazionale. «Sin dall’inizio dell’indagine, nel 2016 – spiegano – l’Ufficio legale a New York ha collaborato pienamente con la Procura della Repubblica di Firenze. Per ovvie ragioni di segreto istruttorio, non possiamo fornire dettagli delle informazioni inoltrate agli inquirenti, ma siamo in grado di confermare che non sono mai stati richiesti i contratti firmati con PTA o le corrispondenti relazioni di fine lavori».
«Certamente non possiamo chiedere risarcimenti per somme versate nell’ambito di normali rapporti di prestazione d’opera né è ipotizzabile che un’organizzazione internazionale sporga querele a casaccio – spiegano nella nota – o, peggio ancora, per soddisfare pressioni, minacce o ricatti provenienti da individui e gruppi impegnati in un’azione politica a noi del tutto estranea».
Prendetevi del tempo e ascoltate anche le parole del direttore di Unicef Italia Rozera. Chiariscono ulteriormente i motivi sul perché Unicef non può sporgere querele così, a caso.

(foto  ALkharboutli/dpa)

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