L’Infernetto è un’altra Roma

“All’Infernetto c’è una bomba, sì, c’è una bomba. Pronta a scoppiare. Però è una bomba strana: non è un unico ordigno. Sono tante cariche, qui e là, i problemi sono tanti, tutto è disperso, tutto è disordinato. Qui ci sentiamo un po’ i fratelli sfigati di Casal Palocco, dell’Axa, di Ostia“: è un fiume in piena la voce di uno dei primi, primissimi residenti dell’Infernetto, quartiere sbattuto su tutte le prime pagine dei giornali dopo il trasferimento, dal centro di accoglienza di Tor Sapienza, di alcuni dei migranti diventati la vera e propria pietra dello scandalo della periferia est romana.

INFERNETTO E TOR SAPIENZA, DUE FACCE DI ROMA – Prendeteli. Trasferiteli. Via di qui. Non c’è spazio per loro in una borgata già appesantita da campi nomadi e disagio sociale. Tra Tor Sapienza e l’Infernetto ci sono trenta chilometri, e in questi trenta chilometri c’è Roma, intera; c’è Piazza Venezia dove hanno sfilato i cortei dei Comitati di Quartiere delle periferie, organizzati dall‘estrema destra; c’è il Campidoglio, Ignazio Marino le contestazioni per il Panda-Gate e gli incontri con i cittadini. C’è tutta Roma, e tutte le facce di Roma; perché, usciti dal Raccordo, imboccata la via del Mare, Roma cambia.

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I romani non sono mai stati un popolo di mare: si narra che riuscirono ad insidiare la potenza navale di Cartagine solo perché, abili ingegneri, inventarono il “Corvo”, ovvero un rostro mobile montato sul ponte della nave che, sbam!, colpiva lo scafo nemico, lo acchiappava e via all’arrembaggio. Così, guidare verso il litorale, sotto il sole di un novembre che sembra maggio, ti da una prospettiva diversa sulla città.

ACILIA, PALOCCO, INFERNETTO – Tor di Valle. Raccordo Anulare. Torrino. Vitinia. Svolta, inizia Acilia. Quella strana propaggine della Capitale che si protende verso il mare, ancora Roma ma non ancora Ostia, e quindi un’altra Roma. Diversa, meno nota a chi è cresciuto con la sicurezza di poter salire all’ultimo piano e poter far spaziare la vista fra i Castelli Romani e il Terminillo. Stazione della Roma-Lido di Acilia, quella diventata tristemente celebre grazie alla denuncia quotidiana degli attivisti del “Trenino Roma-Lido”, e poi via, Casal Palocco: tutto è verde, piccole ville, piste ciclabili, sole al tramonto, aria di casa.

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Superiamo la Cristoforo Colombo, e siamo all’Infernetto: “Io sono qui dal 1977”, ci dice Pietro – nome di fantasia, al solito – “e sono stato uno dei primi. La vedi questa casa? L’ho costruita io, insieme alla famiglia di mia moglie. Qui davanti era tutta campagna, aprivo la porta di casa e i miei figli potevano uscire a giocare: era come vivere a Roma, però non viverci. E’ strano, è diverso”, ci racconta.

LA PAURA DELLE ALLUVIONI – “Ma qui i problemi sono tanti”, ci dice Pietro: “Sta per arrivare l’inverno, inizierà a piovere e noi qui, come ogni anno, abbiamo paura”. La memoria va al 2011, alle grandi piogge che hanno fatto straripare il Canale Palocco, a pochi metri da casa sua: “Ti ricordi quel ragazzo che è morto? Era in questa casa, qui davanti. Il canale si è alzato, è straripato, è arrivata l’ondata di piena”, ci dice.

 

“Questo è un quartiere di fondazione, qui era tutta palude; poi durante il fascismo hanno scavato i canali: quello che raccoglie le acque e le porta al mare è questo, il Canale Palocco. Solo che non c’è mai stato un piano regolatore, qui ci siamo adattati; il quartiere l’hanno costruito gli abitanti in questo modo un po’ anarchico, qui siamo in 30mila, la gente qui prende e costruisce, non controlla nessuno. E così l’acqua non defluisce più, c’è chi ha avuto un metro e ottanta di acqua in casa, nei garage, nelle cosiddette sale hobby che poi sono veri e propri pezzi di casa, tutto condonato ovviamente. Guarda, ti dico, se qui qualcuno volesse fare cassa, basterebbe venire in massa a controllare gli abusi, dividere il quartiere in quadratini e sguinzagliare la Finanza. Sai che risate”.

UN QUARTIERE ABBANDONATO – E l’immigrazione? Il centro d’accoglienza “Le Betulle” a via Salorno è presidiato notte e giorno da una volante della Polizia, dopo le tensioni all’interno della struttura causate, dicono gli operatori, semplicemente da “una rissa fra ragazzi” che però ha portato a delle denunce davanti il tribunale dei minorenni; i migranti ospitati bighellonano un po’ nel cortile, in attesa che qualcosa succeda.

 

“Qui da tempo”, ci spiega Pietro, “vive una grossa comunità rumena, gli albanesi e l’immigrazione asiatica. Qualcuno ci specula: vedi quello laggiù? Dietro casa ha fatto una sorta di baraccopoli per i lavoratori rumeni, li stipa nelle cantine in cambio di un affitto salato; per non parlare di quelli che dormono nella Pineta”. Percorriamo via di Castel Porziano, arteria principale del quartiere, “l’unica su cui passa il trasporto pubblico”; da poco è stata inaugurata la nuova Parrocchia, San Tommaso Apostolo “gestita da un prete che ci sa fare, abbastanza giovane, fanno corsi, incontri e attività varie”, davanti alla vecchia chiesetta omonima, ora data in gestione alla Asl, per ora ancora punto di raccolta della comunità di immigrati. “Il problema del quartiere è che è lasciato a se stesso: non c’è un punto medico, non c’è polizia, non ci sono i carabinieri, non c’è controllo del territorio”, ci dice ancora Pietro.

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ALLAGAMENTI, TRASPORTI, DISAGIO SOCIALE – Infatti proliferano le società di vigilanza private, che già dopo il tramonto iniziano a girare per il quartiere. La principale preoccupazione degli abitanti è il rischio idrico, dopo l’alluvione del 2011 e quella, recentissima, del 2014; ma anche spostarsi da e verso il quartiere non è certo uno scherzo: “Non ci sono mezzi pubblici, c’è solo lo 070 che porta da qui all’Eur e la Roma Lido ad Ostia ad Acilia, ma da qui alle stazioni sarà mezz’ora e devi comunque avere un mezzo. Se non hai l’automobile sei bloccato, e ogni giorno ci sono 20-30 km di coda sulla Colombo e su via Wolf Ferrari”, ci dice: “E i giovani che fanno qui? Dove li mettiamo? Niente. Non fanno niente e non li mettiamo da nessuna parte. Vanno ad Ostia, a Palocco, dove c’è la droga. Ce n’è tanta. In tutto il litorale, è una zona difficile”.

Sabato i residenti del quartiere contrari al trasferimento dei migranti promuovono un corteo di protesta, presente Mario Borghezio per la Lega e sono già apparsi i manifesti di Casapound sui muri della zona, ma qui, Pietro, in realtà gli attivisti non li ha mai visti: “Non mi sembra un quartiere che tende a destra, questi arrivano a metterci il carico e si atteggiano un po’ così, qualcuno li vota ma casualmente, guarda caso, sono poi gli stessi che tengono i rumeni nelle cantine e ci lucrano sopra”.

UN’ALTRA ROMA – Girando per il quartiere il paesaggio cambia di continuo. Case popolari stile ventennio, piccoli condomini, palazzoni, poi subito campi con serre, poi piccole baracche agricole probabilmente dei primi del novecento, poi villette unifamiliari, i palazzoni della Guardia di Finanza, poi campi lasciati a sé stessi, brulli e incolti.

E’ un altro mondo, è un altro paesaggio, è una storia che non conosci: “Qui è tutto così. A caso. Trascurato, trasandato. Dispiace, perché questo è un bel quartiere, l’abbiamo costruito, ci sto da trent’anni, i miei figli ci sono cresciuti e ci vivono. Ma è lasciato completamente a sé stesso, abbandonato. Senti storie strane, di criminali e latitanti che si nascondono qui”, continua Pietro: “D’altronde, se uno si nasconde qui, quando mai lo trovi? Come faccio a dare indicazioni ad un carabiniere che me le chiede? ‘Che ne pensi di quel bar? Hai visto movimenti insoliti?’ Ma io che ne so, che ne sappiamo?”. Nel raccontare, Pietro sembra disarmato: contento di vivere qui, ma boh, cerca un senso, che gli sfugge. Finiamo il giro e ci allontaniamo; il traffico aumenta mentre i pendolari tornano a casa: fra viali alberati, supermercati, automobili, caseggiati da borgata del Ventennio, strade sconnesse con gigantesche buche. E lampioni nuovi di zecca: “Io sono qui dal 1977”, ci dice Pietro, salutandoci: “E i lampioni li hanno messi due anni fa”.

 

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