Il problema di una Rai che non riesce a fare correttamente i collaudi per le commesse legate allo streaming

Il caso Mosai.co - che risale al 2019 - indica come ci sia molta strada da fare per quanto riguarda la digitalizzazione del servizio pubblico

09/11/2023 di Gianmichele Laino

Il 25 ottobre 2019 il mondo del web non aveva ancora conosciuto quella grande rivoluzione che, nel bene o nel male, aveva causato la pandemia di coronavirus. Non aveva ancora compreso, ad esempio, l’importanza di un’infrastruttura efficace per la trasmissione in streaming: dal 2020 in poi, infatti, il balzo tecnologico da questo punto di vista è stato enorme. Occorreva, infatti, una capacità enorme per poter garantire tutti gli eventi che – da quel momento per i successivi due anni almeno – sono stati trasmessi sul digitale, nell’impossibilità di potervi assistere dal vivo. Occorreva una capacità enorme per assecondare alcune rivoluzioni, come quella della trasmissione sugli OTT dei grandi eventi sportivi. Occorreva una capacità enorme per seguire la tendenza del sempre maggiore ricorso alle piattaforme di intrattenimento o di comunicazione aziendale. Tutte, rigorosamente, in streaming. Il 25 ottobre 2019 per garantire i servizi per la diffusione dei contenuti multimediali della piattaforma IP-CDN – servizi fondamentali per i meccanismi di funzionamento di RaiPlay – la Rai aveva dato mandato a Fastweb, in seguito all’opportuna valutazione della sua offerta e ai risultati dei test di carico che erano stati effettuati qualche settimana prima. Mosai.co, l’azienda che si era classificata al secondo posto nella procedura, aveva fatto ricorso al Tar. La sentenza del tribunale amministrativo aveva respinto questo ricorso, ma il successivo intervento del Consiglio di Stato era stato un vero e proprio colpo di scena.

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Sentenza Rai-Mosaico, cosa è successo

Il secondo grado della giustizia amministrativa, infatti, aveva stabilito la retrocessione della procedura di gara «alla fase di c.d. verifica della corrispondenza, da ripetere seguendo le indicazioni fornite dal c.t.u. per poter certificare l’andamento del test e il suo risultato finale, fermo restando il rispetto delle prescrizioni del Capitolato che consente l’espletamento N. 03344/2022 REG.RIC. del test secondo le modalità scelte dall’offerente e nel suo ambiente». Secondo Mosai.co, insomma, Fastweb non aveva rispettato i criteri previsti dal test di carico e il Consiglio di Stato aveva evidenziato questo elemento.

Si salta, a questo punto, al 21 febbraio 2022. È questa la data del nuovo test di carico, seguito alla sentenza del Consiglio di Stato. Tre anni dopo. Con un quadro tecnologico completamente cambiato, con strumenti estremamente più avanzati, con condizioni di mercato decisamente diverse. E infatti il test è stato ripetuto a queste nuove condizioni. Non importava se, secondo Mosai.co, la capacità di Mainstreaming – cdn fondamentale per il buon esito del test – all’interno del MIX di Milano (il punto di interscambio per l’Italia settentrionale) è stata quantomeno duplicata nel corso degli ultimi tre anni (proporzione che sarebbe potuta essere valida anche per il Namex di Roma, il principale punto di interscambio dell’Italia centrale).

L’esito di questo nuovo test, a queste nuove condizioni, era praticamente scontato. Alla fine, nonostante la sentenza del Consiglio di Stato e nonostante l’osservazione sull’applicazione del principio dell’ora per allora quando si tratta di vicende legali che interessano strutture dall’alto livello tecnologico, il superamento del nuovo test ha portato alla nuova aggiudicazione – sempre a Fastweb – nel maggio del 2022.

Un pasticcio in casa Rai

Questa vicenda dimostra l’inadeguatezza dei tempi burocratici della giustizia italiana rispetto a questioni che invece si muovono alla velocità della luce come lo sono i temi della digitalizzazione. Ma, allo stesso tempo, dimostra – come si evince dalle annotazioni dei giudici amministrativi – anche il pasticcio realizzato dalla Rai in fase di assegnazione del bando, nel momento esatto in cui è stato fatto un test che, non rispondendo alle reali esigenze dello strumento tecnologico in discussione, ha avuto la necessità di essere ripetuto.

Questo denota, probabilmente, la scarsa consapevolezza di dare profondità a uno strumento tecnologico che, oggi, viene considerato un asset fondamentale dell’azienda, grazie anche all’idea di rispolverare il vecchio concept della digital media company. Nel 2019, al momento del primo test, questa cosa è stata anche meno chiara.

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