La fuga dalla RAI: dai conduttori al pubblico. Ma non è una questione esclusivamente “politica”

Cosa sta succedendo nella televisione pubblica? Dagli ascolti ai programmi che hanno perso (o non hanno mai avuto) appeal. E non c'entrano solamente le "decisioni" dell'attuale governo

08/11/2023 di Enzo Boldi

C’è una parte visibile e una invisibile. La prima è quella rappresentata dalla “politica”, ovvero tutti quei riflessi derivanti dalle decisioni dell’attuale governo e, a cascata, dalle scelte fatte dalla nuova dirigenza della televisione pubblica italiana. La seconda, invece, è una palude stantia da anni composta da contratti di servizio rivedibili e non rispettati, gestione non propriamente corretta dei bandi (e successive attività di collaudo) e annunci ripetuti da quasi una decade senza mai diventare reali. Il grande caos che si sta consumando oggi in RAI è la conseguenza di una serie di problematiche mai risolte dal servizio pubblico.

LEGGI ANCHE > Approvato il nuovo contratto di servizio Rai (che si conferma più una dichiarazione d’intenti)

Oggi si parla tanto dei conduttori e personalità che hanno deciso di dire addio (almeno per il momento) alla televisione pubblica. Alcune scelte sono state contestate dalla nuova dirigenza della RAI, parlando di aspetti economici che hanno spinto volti noti a volare verso altri lidi. L’ultimo, in ordine temporale, è stato Corrado Augias (passato a La7). Pochi mesi fa, invece, toccò a Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, sbarcati sul Nove con il loro programma “Che tempo che fa“. Segnali di insofferenza che, tra le tante cose, hanno portato a un netto calo dell’audience su tutti e tre i principali canali televisivi del servizio pubblico.

RAI nel caos, all’origine dei problemi

Ma c’è di più: la politica e le scelte. Con il nuovo governo, la RAI – come spesso accade – ha cambiato la classe dirigente (o, almeno, i vertici) e ha preso scelte che non hanno incontrato il gradimento del pubblico. Il nome su cui ci si è concentrati, a livello mediatico, è quello di Pino Insegno e del programma “Il Mercante in fiera“. L’attore e conduttore non è apprezzato – come indicano i dati dello share – dal pubblico, ma non solo per la sua vicinanza politica a Giorgia Meloni. La trasmissione, infatti, appare noiosa, vecchia e anch’essa stantia. Dunque, le “colpe” non sono solamente del noto doppiatore, ma anche delle decisioni dei vertici della televisione pubblica di offrire un palinsesto che rappresenta un vecchio modo di fare tv.

E non è un caso che, ora, si sono aperte anche grande riflessioni su uno dei programmi di punta del pre-serale sulla rete ammiraglia (Rai 1): “L’Eredità”, che in origine era destinata proprio alla conduzione di Pino Insegno, potrebbe tornare nelle sapienti mani di Flavio Insinna. Proprio per tamponare l’emorragia di pubblico. E sulla stessa falsariga si sta ragionando su “Avanti Popolo” condotto da Nunzia De Girolamo che neanche con l’ospitata (pagata) di Fabrizio Corona nel bel mezzo delle notizie (?) sulle scommesse legate al calcio è riuscita a risollevare. Anzi, negli ultimi giorni ci sono state ulteriori polemiche provocate dall’intervista – andata in scena martedì 31 ottobre – alla vittima dello stupro di Palermo, con giornalisti, scrittori, operatori dell’informazione e dello spettacolo e attivisti che hanno scritto una lettera aperta (qui il testo integrale e i firmatari) alla Presidente della RAI Marinella Soldi (e al Cda) per contestare la violazione delle carte deontologiche.

Decisioni che verrano prese nelle prossime settimane, con il rischio dell’effetto cascata. Il primo programma a pagare concretamente è stato “Liberi Tutti“, la trasmissione ispirata al mondo dell’Escape Room ha chiuso i battenti (ieri il comunicato ufficiale) dopo solo tre puntate. Tutta colpa degli ascolti che non hanno premiato “l’idea”, in prime time sul secondo canale, e la conduzione di Bianca Guaccero e Peppe Iodice.

Ma non è solo colpa delle politica

Questo è l’oggi. Quel quotidiano che viviamo costantemente e che mostra i suoi riflessi nel qui e ora. Perché la crisi della RAI e la conseguente fuga anche dei telespettatori non è “colpa” solo della politica e delle sue decisioni. I nuovi vertici, sicuramente, dovranno lavorare per fermare questa enorme emorragia, ma sono le basi del servizio pubblico che dovrebbero, anzi devono, cambiare. Oggi Giornalettismo analizzerà una parte di quelle problematiche, partendo dal nuovo (ma anche dai vecchi) contratti di servizio, passando per le quantomeno ataviche strategie di misurazione dei canali e dei servizi offerti dalla televisione pubblica, sottolineando alcuni aspetti legati all’era digitale in cui siamo immersi.

Per esempio, l’intelligenza artificiale è stata realmente sfrutta e sviluppata dal Centro ricerche e innovazione tecnologica? E poi, a che punto siamo on l’area digital e l’analitica legata a Rainews.it e – soprattutto – ai contenuti trasmessi su RaiPlay? Per non parlare della gestione dei bandi pubblici e di come l’azienda non sia stata in grado di effettuare (in alcuni casi, di prevedere) un corretto approccio alla fase di collaudo): come può una televisione non essere al passo con le nuove tecnologie? Le risposte a questi interrogativi rappresentano il vero futuro della televisione pubblica. Le trasmissioni sono solamente l’output, quel visibile che rende percepibile solamente una piccola porzione di problematiche. Il vero caos è all’interno, in quella zona invisibile ai più, ma che rappresenta una lunga serie di granelli in grado di inceppare il meccanismo.

Share this article
TAGS