Approvato il nuovo contratto di servizio Rai (che si conferma più una dichiarazione d’intenti)

Una serie di obiettivi (più o meno chiari e più o meno nuovi) sono stati posti nel nuovo contratto di servizio Rai, ma in che modo dovrebbero essere raggiunti e secondo quali kpi dovrebbero essere misurati?

03/10/2023 di Ilaria Roncone

Il nuovo contratto di servizio Rai è stato approvato. E non sono mancate le polemiche, con un contrasto che maggiormente si è articolato tra il Movimento5Stelle – che ha scelto di votare a favore – e il Pd che, fino all’ultimo, non ha dato il suo benestare. Insieme al primo partito di opposizione si sono espressi in maniera contraria Italia Viva, Verdi e Sinistra. I parlamentari si Azione, invece, hanno scelto di astenersi.

Al di là della dialettica politica che ci ha condotti all’approvazione, cosa ci dice il contratto di servizio Rai sul digitale? Gli obiettivi sono tanti così come gli emendamenti che erano stati posti per l’approvazione – si è arrivati a 400 – ma quanto, effettivamente, ci portiamo a casa di concreto (sotto il punto di vista digitale e non solo)?

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Cosa dice il contratto di servizio Rai sul digitale?

Andando a scandagliare la bozza del testo – e considerato che gli emendamenti sono stati posti non tanto nel merito del come raggiungere gli obiettivi ma su questioni più soggettive come la promozione della famiglia tradizionale -, non è possibile rintracciare né i kpi né le tappe del processo. In sostanza, il modo in cui tutti questi obiettivi (digitali e non digitali) verranno raggiunti non è espresso in maniera chiara.

Entriamo nel merito della questione. Tra i principali obiettivi dell’offerta del servizio pubblico – si legge in corrispondenza dell’articolo 2 nel contratto – c’è quello di «accelerare la trasformazione in digital media company, anche attraverso lo sviluppo delle piattaforme digitali» e «accrescere le competenze del pubblico in relazione alle nuove sfide della transizione ambientale e digitale». L’articolo 3, che è interamente incentrato sulla definizione “Digital media company”, vede la Rai impegnarsi «a completare la trasformazione da broadcaster a digital media company sia investendo, in coerenza con le risorse economiche pubbliche derivanti dal canone riconosciute a Rai, in tecnologia per un accesso universale, facile ed efficiente, all’offerta del servizio pubblico su tutte le piattaforme sia garantendo un’offerta digitale che sia rilevante per ogni cittadino utente e lo accompagni nei diversi momenti e nelle diverse modalità di consumo».

Viene prevista, inoltre, la dotazione «di una strategia di digitalizzazione complessiva al fine di migliorare i modelli produttivi e investire sul miglioramento delle professionalità per adeguarle alle sfide del mondo digitale». In generale, si parla di far assumere un maggiore rilievo al mezzo digitale nell’offerta del servizio Rai con particolare attenzione per «Rainews.it, e Raiplay e RaiPlay Sound».

All’articolo 8, transizione digitale e transizione ambientale vengono accostate, con una vaga espressione di quelli che sono gli obiettivi e nessun tipo di indicazione relativamente al come raggiungerli. Possono essere rintracciate frasi del tipo: «La transizione ambientale e quella digitale rappresentano due delle sfide per il futuro e sono essenziali non solo in un’ottica di sviluppo economico, ma soprattutto in un’ottica sociale». Si parla, inoltre, di «intensificare la frequenza e migliorare il collocamento nei palinsesti dei programmi di divulgazione delle tematiche relative all’innovazione digitale e ambientale» (punto C dell’art. 8), «accrescere le competenze digitali di base della popolazione, eventualmente anche con iniziative sul territorio e/o online» (punto D dell’art. 8), «promuovere i valori connessi alle suddette sfide (digitale e ambientale) nei prodotti destinati al grande pubblico (quali fiction, entertainment e programmi informativi)» (punto E dell’art.8).

Anche sotto il punto di vista tecnico e tecnologico vengono indicati una serie di intenti nell’articolo 15 senza però fare ulteriori specifiche in merito, per esempio, al quando potremo vedere realizzati questi obiettivi in un lasso di tempo che risulta essere molto lungo, coprendo il quinquennio che va dal 2023 al 2028. Nell’allegato 1 – che è stato inserito nel contratto di servizio – si fa riferimento all’impegno che la Rai dovrà mantenere di fare informazione dedicata alle nuove tecnologie digitali e di proporre programmi che promuovano l’alfabetizzazione in questo senso, rispettando la vocazione educativa che ci si aspetta dal servizio pubblico.

L’obiettivo è (più o meno) chiaro, ma come ci arriviamo?

Un contratto di servizio di durata quinquennale che impegna il servizio pubblico con i cittadini italiani dovrebbe contenere – almeno in teoria e almeno se facciamo riferimento a grandi realtà private come Netflix o a Paesi come la Francia, come ha sottolineato anche key4biz in una recente analisi – non solo gli obiettivi (che dovrebbero essere delineati anche con un linguaggio più puntuale) ma anche i modi nei quali questi obiettivi verranno raggiunti e quando si prevede di farlo.

Quello che ci ritroviamo a leggere nelle oltre 80 pagine di contratto Rai, invece, sembra essere una promessa vaga, interpretabile e priva di elementi concreti sull’attuazione che possano portare a definire un contratto di servizio statale adeguato. Non c’è, in sostanza, nessun tipo di volontà contrattuale, nel senso stretto del termine.

Quello che ci dovremmo aspettare, i risultati in termini di numeri o gli investimenti che sono previsti per questo o quell’obiettivo, non vengono presi minimamente in considerazione né inseriti nel testo. Che, più che un contratto, diventa così una lista di buoni propositi.

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