L’eterno tentativo della Rai di trasformarsi in una Digital Media Company

L'obiettivo doveva essere centrato nel 2018, lanciato nel piano industriale del 2016. Ma siamo ancora in alto mare

09/11/2023 di Enzo Boldi

Se ne parla da anni e, come spesso accade, ogni piccolo passo viene celebrato come un grande successo. Ma la strada per trasformare la Rai da un broadcast a una digital media company sembra essere ancora lunga e piena di insidie. Un progetto nato nel 2016 e inserito – con approvazione – all’interno del piano industriale del biennio 2016/2018. Da quel momento sono iniziate le grandi manovre che però, a oggi, non sono arrivate a dama. Di recente, nel marzo dello scorso anno, persino l’Autorità Garante per le Comunicazioni invitò la televisione pubblica a procedere in quella direzione. Da quel momento, nonostante grandi annunci, la situazione non ha regalato grandi colpi di scena.

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Nel mese di giugno, per esempio, il tema della Rai digital media company è stato affrontato anche nel tavolo organizzato dal Ministero dell’Economia (guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti) a cui hanno partecipato i vertici dell’azienda: dall’amministratore delegato Roberto Sergio passando per la Presidente Marinella Soldi, fino al direttore generale Gianpaolo Rossi e altri rappresentanti del MEF. Si è discusso del piano industriale dell’emittente pubblica 2023-2028, con riferimento proprio al rinnovo e alla modernizzazione del regime imprenditoriale dell’azienda pubblica.

Di cosa stiamo parlando

Ovviamente, dunque, si è parlato proprio di quell’esigenza atavica di trasformare la Rai in una digital media company. Prima di entrare nello specifico, spieghiamo di cosa stiamo parlando. Si tratta del passaggio dall’essere broadcast (quindi emittente di contenuti attraverso le modalità della tv e della radio tradizionale) a una completa trasformazione in una compagnia che offre prodotti fruibili digitalmente. Dunque, parliamo di produzione e diffusioni di contenuti digitali (di qualsiasi tipologia, compreso video, audio, immagini e giochi interattivi) distribuiti su canali diversi tra loro come app mobile, social media, tv, e satellite.

Rai Digital Media Company, a che punto siamo

La Rai già lo fa? Solo in parte. Perché il primo passo risale al 2016, quando Rai.tv venne trasformata in RaiPlay. Prima in versione desktop, poi in versione app fruibile da pc, smartphone e anche smart tv. Un primo piccolo passo a cui, nel corso degli ultimi sette anni, ne sono seguiti altri. La situazione, però, è ancora lontana dal piano originale che doveva concludersi – almeno nella fase della transizione – nel biennio che si è concluso nel 2018. Anche perché questa prima parte dei cambiamenti ha comportato anche la creazione di settori ad hoc, proprio per lo sviluppo di sistemi alternativi al broadcasting. E non è un caso che anche AgCom nel marzo del 2022 chiese all’azienda pubblica di accelerare sul progetto, e anche quest’anno il Presidente dell’Autorità – Giacomo Lasorellaha invitato la Rai a seguire quanto già definito 12 mesi prima. E nel parere inviato da AgCom al MEF vengono fornite le principali linee guida di questo percorso:

«A tal fine sono necessarie una serie di azioni che – nel rispetto dei vincoli di bilancio – facciano dell’Azienda concessionaria del servizio pubblico uno dei motori della digitalizzazione dell’Italia, sia sul versante tecnologico, sia nella diffusione di una corretta informazione e nel consolidamento di una nuova cultura, operando in coordinamento con tutti i soggetti del settore radiotelevisivo. Questo impegno si dovrà tradurre in un corposo investimento in tecnologia per un accesso universale facile ed efficiente ai prodotti Rai su tutte le piattaforme e, nello stesso tempo, in un’offerta digitale distintiva e personalizzabile, capace di generare ampi ascolti per tutte le fasce di età. La RAI dovrà dotarsi, pertanto, di modelli produttivi e di professionalità adeguati al mondo digitale». 

A che punto siamo? Ancora alle fasi iniziali, come ammesso dal direttore generale delle tv pubblica Gianpaolo Rossi nel corso dell’audizione in Vigilanza Rai andata in scena lo scorso 8 giugno:

«Gli obiettivi strategici del Contratto di Servizio 2023-2028 sono, tra gli altri: accelerare la trasformazione di Rai in digital media company – anche attraverso lo sviluppo delle piattaforme digitali – e accrescere le competenze del pubblico in relazione alle nuove sfide della transizione ambientale e digitale. La trasformazione digitale dei consumi sta determinando, infatti, un punto di rottura del mercato con i player tradizionali, sempre più lontani dal pubblico più giovane in termini di target, modelli di fruizione e nuove semantiche narrative. L’avvento dei player OTT ha intensificato la competizione che ora ruota attorno al contenuto e alla capacità di intercettare il singolo utente, offrendogli una esperienza personalizzata». 

Dunque, ci troviamo di fronte al classico paradosso di “Aspettando Godot” di Beckett, nella speranza che gli stimoli esterni che da anni condizionano il mercato della fruizione di prodotti che un tempo erano esclusivamente radio-televisivi porti la Rai a concentrare le proprie forze su sistemi più moderni. Attraverso l’utilizzo di tecnologie testate, funzionanti e che garantiscano al pubblico di oggi e di domani prodotti di qualità su strumenti certificati.

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