La posizione che Google porterà avanti nelle 10 lunghe settimane del processo negli Stati Uniti

Il colosso di Mountain View nega che ci possano essere gli estremi per configurare un abuso di posizione dominante nei suoi confronti e ha illustrato pubblicamente le sue strategie difensive

12/09/2023 di Gianmichele Laino

Ci sono cose che diamo per scontate e che, invece, non dovrebbero esserlo. Se chi ha avuto le prime esperienze con il mondo di internet negli anni Novanta ha avuto modo di sperimentare, di fatto, “un altro internet”, con strumenti e piattaforme di riferimento diversi, la generazione Z ha un’idea molto più schematica e “brandizzata” del world wide web. In questo schema, a buon diritto, si inserisce il predominio assoluto di Google come motore di ricerca. Questa opinione condivisa è sicuramente frutto di un grandissimo lavoro da parte del colosso di Mountain View sulla sua reputazione e, ovviamente, sulle sue prestazioni. Ma è anche frutto di accordi con i principali produttori di device, come Apple, che offrono ai propri utenti – come funzionalità preimpostata – proprio il motore di ricerca di Google. Come se, al di fuori dalla barra di ricerca blu-rossa-gialla-verde, non ci fosse nient’altro. Proprio per questo, dunque, negli Stati Uniti, Google si ritrova a dover fronteggiare una causa per abuso di posizione dominante. Una causa che sarà portata avanti per le prossime 10 settimane e che potrebbe stravolgere la geopolitica dei motori di ricerca (o lasciare tutto inalterato). Per questo è importante conoscere la posizione di Google per la sua difesa e capire su quali punti insisterà per contrastare ciò che, in realtà, sembra essere evidente a tutti.

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La posizione di Google per difendersi dall’accusa di abuso di posizione dominante

Kent Walker, il presidente dei Global Affairs di Google, ha affidato al blog ufficiale dell’azienda la sua posizione (coincidente con la tesi che verrà portata in tribunale) sulla vicenda. Innanzitutto, Google cerca negli altri colossi di Big Tech una sorta di alleato: spiega che, ormai, il settore della ricerca delle informazioni su internet è pane quotidiano per altre piattaforme. Google, ad esempio, sostiene che il 60% dei cittadini americani avvia le proprie ricerche (evidentemente su prodotti da acquistare via e-commerce) direttamente da Amazon. Ma il colosso del motore di ricerca indica anche in Meta, in TikTok, in Reddit altre piattaforme dove è possibile individuare notizie, persone, oggetti.

Insomma, Google sostiene che il settore della ricerca – oggi più che mai – è meno appiattito sui tradizionali strumenti di search engine, mentre è sempre più diffuso anche sulle altre piattaforme. Tuttavia, lo ricordiamo, la causa intentata dai tribunali federali statunitensi riguarda la presenza, come motore di ricerca predefinito, sui device e sui browser. Secondo Google, questa è una scelta che viene effettuata dagli stessi produttori di device e browser, come Apple e Mozilla. «Queste aziende aprono la competizione per l’impostazione predefinita e scelgono il miglior provider di ricerca per i loro utenti – spiega Walker nella sua arringa difensiva -. Competiamo duramente per quel posizionamento, in modo che gli utenti possano accedere facilmente a Google Search».

Dunque, Google non solo sta affermando che i suoi accordi con Apple e Mozilla non siano esclusivi, ma sta dicendo che anche altri motori di ricerca cercano una strada di conciliazione per comparire tra gli strumenti suggeriti. E che, semplicemente, Google ha questa posizione perché offre il servizio migliore.

Per quanto riguarda l’ecosistema Android – dove Google gioca in casa -, il colosso di Mountain View ha fatto un esempio molto “casalingo”: ai produttori di device viene data la possibilità di caricare gratuitamente i prodotti made in Google, esattamente come avviene per le promozioni di una particolare scontistica per una marca di cereali in un particolare supermercato. Insomma, Google sostiene di non fare nulla di nuovo, nulla che non sia già stato fatto in altri settori commerciali.

Google, nella sua posizione di difesa, dice di aver favorito la concorrenza

Stando così le cose, quindi, Google sostiene di non aver abusato di una posizione dominante ma, al contrario, di aver favorito la concorrenza, permettendo – tra le altre cose – agli utenti di cambiare in modo abbastanza semplice lo strumento di ricerca predefinito. Quando si sceglie Google, secondo Walker, non si firma un patto di sangue, ma si è liberi di cambiare prodotto in poco tempo e con facilità. Se gli utenti non lo fanno – è questa la tesi difensiva – evidentemente è perché si trovano bene (a questo proposito, si cita quanto accaduto nel 2014, quando Mozilla aveva deciso di impostare Yahoo! come motore di ricerca predefinito: all’epoca dei fatti, secondo Google, diversi utenti scelsero di cambiare questa impostazione e di selezionare Google). La stessa cosa varrebbe per Microsoft: nonostante sia molto più difficile cambiare motore di ricerca (a partire dal predefinito Bing su Edge), molti utenti cercano e usano Google per navigare in internet.

«Siamo rispettosamente in disaccordo con coloro che vogliono modificare la legge antitrust per promuovere il benessere dei concorrenti piuttosto che dei consumatori – ha concluso Walker -. Mettiamo le persone al primo posto e ci concentriamo sul fornire loro i servizi di cui hanno bisogno per trovare informazioni di alta qualità in modo semplice e rapido. Non vediamo l’ora di portare il nostro caso in tribunale».

 

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