Anche in parlamento ci si pone il problema sul reale pluralismo sui media nel racconto della guerra

Le riflessioni alla luce sul dibattito legato ai talk show e alla scelta degli esperti da ospitare

13/05/2022 di Gianmichele Laino

L’intenzione di far partire un dibattito a più voci sul pluralismo dell’informazione relativa al conflitto in Ucraina c’è anche in Parlamento. Il problema è che, nella maggior parte dei casi, questo dibattito fa fatica a estendersi al di fuori delle commissioni di Vigilanza Rai o al di fuori del Copasir. Dove, del resto, non tutti i gruppi parlamentari sono rappresentati. Ecco perché sarebbe importante allargare le occasioni di questo dibattito. La domanda circola con insistenza: che fine ha fatto il pluralismo nel sistema mass-mediatico relativo alla guerra?

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Il pluralismo dell’informazione sulla guerra e il dibattito in parlamento

«La Rai è controllata dal governo – spiega a Giornalettismo Andrea Colletti, deputato del gruppo L’Alternativa c’è e vicepresidente del gruppo misto -. Il controllo attuale è addirittura molto più forte rispetto al nefasto passato di qualche anno fa, dove c’era persino più pluralismo. Questo perché la guerra ha messo di fronte a noi degli interessi che sono superiori agli interessi di qualsiasi partito politico. Quando parlo della Rai, tuttavia, parlo anche di altre realtà: pensiamo, ad esempio, a quello che ha detto Mentana a proposito dello spazio nelle sue trasmissioni alle diverse opinioni sul tema della guerra. Il giornalista, nella mia opinione, dovrebbe dare la parola a tutti, per poi farla valutare al lettore o al telespettatore. Invece, quello che sta accadendo è sintomatico rispetto allo stato attuale dell’ecosistema dell’informazione».

Al centro dell’attenzione, tra gli scranni di Montecitorio, c’è il tema di come commissione di Vigilanza Rai e, addirittura, il Copasir stiano ragionando in merito agli schemi di dibattito nei talk-show o in merito agli ospiti presenti in studio. Da più parti queste azioni vengono considerate una presenza forte e ingerente della politica nell’ambito della libera informazione. O – per restare in tema – di quella plurale.

Andrea Colletti sul vademecum di cui si sta discutendo in commissione di Vigilanza Rai, ad esempio, evidenzia un paradosso: «Stando a questo ipotetico vademecum di cui si sta parlando da qualche giorno, il 90% degli opinionisti, esperti di loro stessi, di forte impronta bellicista non dovrebbe essere nemmeno invitato. Ma come sempre accade, purtroppo, le norme vengono applicate con due pesi e due misure. Di conseguenza, questa valutazione potrebbe trasformarsi in un qualcosa di pericoloso». Anche perché, evidenzia il deputato di L’Alternativa, si rischia di escludere vasta parte della rappresentanza degli italiani dal dibattito stesso: non tutti i gruppi, infatti, sono rappresentati né in commissione di Vigilanza, né nel Copasir. E allora sembra quasi paradossale parlare di pluralismo dell’informazione quando questo stesso pluralismo fa fatica a trovare spazio nelle commissioni che dovrebbero determinarne i meccanismi.

«Lo stato dell’informazione sulla guerra in Italia riflette un po’ quello che è lo stato di tante altre cose – spiega a Giornalettismo Silvia Benedetti, deputata del gruppo parlamentare ManifestA -. È un po’ strumentalizzato il fatto che diversi colleghi si siano resi conto soltanto ora che il talk show, probabilmente, non sia il modo migliore per approfondire degli argomenti complessi». E allora come si asseconda la richiesta, che non arriva soltanto dalla politica ma anche dal mondo del giornalismo, di un maggiore pluralismo? «Il pluralismo va bene – ricorda Benedetti -. Ovviamente si deve intervenire quando si dicono pubblicamente delle cose che non sono vere. Mi viene in mente, una cosa fra tutte, il monologo di Lavrov a Rete4 e il passaggio sulle orgini di Hitler».

Secondo la deputata di ManifestA, che la commissione di Vigilanza Rai intervenga sulle regole dei talk-show è un rischio: «Bisognerebbe essere maturi a tal punto – spiega Benedetti – da non volere a tutti i costi che le cose dette siano quelle che piacciono a noi. Il fatto che noi vediamo dei problemi sull’informazione legata alla guerra nasce dal fatto che c’è stato un problema generale in passato: è una controindicazione rispetto a come è stata fatta informazione fino a questo momento, con format pensati per lo share. Bisogna trovare un equilibrio tra il pluralismo delle opinioni e il fatto di non realizzare un prodotto scadente. Ovviamente, preferisco più libertà e meno briglie alle troppe briglie. Perché non sai mai, poi, chi le tiene quelle briglie».

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