Laura Boldrini parla di Patrick Zaki: «Per dare un segnale, dovremmo fermare il riarmo dell’Egitto»

Doveva essere un rientro a casa, quello di Patrick Zaki. Si è trasformato nel principio del suo incubo. Un incubo che, tra l’altro, l’Italia ha vissuto sulla propria pelle dopo la morte di Giulio Regeni. Ed è giusto che il nostro Paese dia un segnale forte, anche perché Patrick Zaki aveva scelto l’Italia – e in modo particolare l’Università di Bologna – per perfezionare i suoi studi. «Patrick Zaki è un giovane militante per i diritti civili – dice Laura Boldrini a Giornalettismo -: una persona arrestata per un reato d’opinione, dal momento che si batteva sia contro i Fratelli Musulmani, sia contro il regime di Al-Sisi. Su di lui sono stati utilizzati metodi brutali e inaccettabili per un Paese moderno».

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Laura Boldrini spiega perché è importante agire subito con l’Egitto sul caso di Patrick Zaki

Laura Boldrini ha vissuto da vicino il dramma di Giulio Regeni. Era presidente della Camera quando il ricercatore italiano venne rapito al Cairo. In quella circostanza l’Italia reagì in maniera ferma, ma la risposta dell’Egitto nel ricercare la verità su quel brutale rapimento, su quelle torture e su quella morte ingiusta non è mai stata soddisfacente. «Noi provammo a ritirare l’ambasciatore dal Cairo pensando di fare un gesto fortissimo dal punto di vista diplomatico – ha spiegato Laura Boldrini -. Evidentemente non è servito a fare chiarezza su quanto accaduto a Giulio. A questo punto, posso dire che in questa circostanza sarebbe opportuno fare altro, anche a livelli più alti per pretendere una reazione: penso, ad esempio, allo stop al riarmo dell’Egitto. Forse questa potrebbe essere la leva giusta per incidere sulla vicenda di Patrick Zaki».

Laura Boldrini su Patrick Zaki: «Nessuno, dopo Giulio Regeni, potrà dire ‘noi non sapevamo’»

Anche perché il ricercatore dell’Università di Bologna spera proprio in una reazione da parte dell’Italia. Lo avrebbe fatto presente ai suoi familiari al momento della visita che è stata concessa loro nel carcere di Mansoura: «Il ministro degli Esteri italiano dovrebbe parlare con le autorità egiziane, ma anche con i colleghi europei. La mobilitazione dovrebbe avvenire a livello comunitario. Oggi è successo a un ragazzo egiziano che studiava in Italia, domani potrebbe succedere la stessa cosa anche a uno studente che si perfeziona in Francia o in Belgio. Non possiamo perdere statura, parlo dell’Italia e dell’Europa, nei confronti di un Paese come l’Egitto che si oppone sistematicamente a qualsiasi tentativo di capire cosa stia succedendo in circostanze come queste».

Inevitabile un confronto con Giulio Regeni e con la sua memoria. «Fa molto male mettere a confronto le due situazioni. La famiglia Regeni lo ha sempre detto: ci sono centinaia di Giulio che subiscono la stessa sorte. Fa piacere assistere a una mobilitazione così ampia partita dall’Università di Bologna e arrivata anche in altri atenei italiani ed europei. Ma dobbiamo fare presto: nessuno, dopo quello che è successo a Giulio Regeni, potrà dire “non sapevamo”».

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