OpenAI prova a ribaltare la situazione nella causa intentata dal NYT

Tirata in ballo la carta dell'hacker che avrebbe, per conto della testata, avrebbe forzato ChatGPT per trovare prove sulla violazione del copyright

04/03/2024 di Enzo Boldi

La controversa questione delle (eventuali) violazioni del diritto d’autore da parte degli strumenti di intelligenza artificiale si arricchisce di un colpo di scena. Na abbiamo parlato in diversi ambiti, ma quella che ha sollevato maggiori contestazioni parte dal New York Times che nelle scorse settimane ha intentato causa contro ChatGPT per aver violato il copyright dei suoi contenuti. Il carteggio della causa è ricco di dettagli, ma ora OpenAI ha deciso di tirare in ballo una carta molto particolare per andare contro al NYT: quella dell’hacker.

LEGGI ANCHE > Perché Elon Musk ha fatto causa a OpenAI

Piccolo recap. Lo scorso 27 dicembre, il quotidiano newyorkese ha citato in giudizio l’azienda di San Francisco con un’accusa ben precisa: aver addestrato la propria AI utilizzando (senza consenso e accordi commerciali) milioni di articoli pubblicati online dalla principale testata giornalistica americana. Inoltre, ChatGPT integrato su Bing – in molti casi – non citerebbe neanche le fonti da cui l’intelligenza artificiale ha attinto per generare risposte alle domande (o comandi) fatte dagli utenti. Di fatto, soprattutto per la prima parte delle accuse, viene contestato lo stesso modus operandi già messo in evidenza da Getty Images qualche mese prime nei confronti di Stable Diffusion.

OpenAI contro NYT, la carta dell’hacker su ChatGPT

E ora che succede? Dopo la citazione in giudizio, ecco che la linea di difesa di OpenAI contro NYT, con la carta dell’hacker ingaggiato dal quotidiano per “forzare” il sistema di ChatGPT e – secondo l’azienda di San Francisco – violare le regole di utilizzo del chatbot. Nel documento depositato qualche giorno fa presso la corte federale di Manhattan, la linea difensiva è piuttosto articolata, ma è sintetizzabile citando alcuni estratti:

«Il NYT ha effettuato richieste ingannevoli che violano palesemente i termini di utilizzo di OpenAI […] Le accuse contenute nella denuncia del Times non soddisfano i suoi famosi e rigorosi standard giornalistici […] La verità, che verrà fuori nel corso di questo caso, è che il Times ha pagato qualcuno per hackerare i prodotti OpenAI». 

Ed ecco la carta “hacker”. Ma in che senso? Secondo OpenAI, il quotidiano avrebbe ingaggiato un “hacker” per entrare nelle pieghe del chatbot e forzarlo. Dunque, un lavoro profondo per verificare se si potesse arrivare realmente a una verifica sulla violazione del diritto d’autore. La replica del giornale americano non si è fatta attendere ed è arrivata attraverso una dichiarazione dell’avvocato che segue questa vicenda per conto del NYT:

«Ciò che OpenAI definisce erroneamente come ‘hacking’ è semplicemente l’utilizzo dei prodotti OpenAI per cercare prove che abbiano rubato e riprodotto il lavoro protetto da copyright del Times». 

Una vicenda piuttosto spinosa, con la linea di difesa di OpenAI contro NYT che sembra essere il classico esempio dell’arrampicata sugli specchi. Perché se con i comandi (prompt) giusti si riesce ad arrivare a un risultato di violazione del copyright, vuol dire che quello strumento AI è in grado (o ha già fatto) di violare il diritto d’autore.

Share this article