Gli NFT sono equiparabili a uno “Schema Ponzi”?

Lo aveva scritto, in forma provocatoria, Matt Levine su Bloomberg

02/10/2023 di Enzo Boldi

Una provocazione che, però, sembra avere un chiaro e ben definito riverbero all’interno del mercato (ora in crisi) dei non-fungible token. Prima che la bolla scoppiasse, con un calo esponenziale del valore dei singoli oggetti digitale e di tutto il comparto, l’esperto giornalista finanziario Matt Levine scrisse su Bloomberg un ampio approfondimento legato alla blockchain, alle criptovalute e a tutto quell’ecosistema che sembrava essere l’idea giusta per il futuro. Proprio in quell’occasione, si parlò per la prima volta dell’assonanza tra NFT e “Schema Ponzi“, uno dei modelli più consolidati (e convertiti in epoca digitale) di truffa.

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Che quel mondo fatato non potesse essere la panacea di tutti i mali era evidente fin dall’inizio. Cercare di tutelare il “diritto intellettuale” delle produzione di un contenuto/oggetto digitale all’interno del web è – per definizione – un enorme salto nel buio. Perché, come poi accaduto, quando si iniziano a muovere ingenti quantità di denaro (seppur non tangibile, come le criptovalute) ecco che sullo sfondo iniziano a comparire gli speculatori. Ed è proprio per questo che Levine ha scomodato questo parallelismo provocatorio NFT-Schema Ponzi.

Come funziona la truffa

Prima di entrare nel dettaglio di quanto analizzato nell’ottobre dello scorso anno dal giornalista di Bloomberg, spieghiamo – sinteticamente – in cosa consiste questo Schema Ponzi. Innanzitutto, il nome fa riferimento alla figura di Charles Ponzi (all’anagrafe Carlo Pietro Giovanni Guglielmo Tebaldo Ponzi). Di chiare origini italiane (nacque a Lugo, in provincia di Ravenna, nel 1882). Dopo essere emigrato negli Stati Uniti, si rese protagonista di una delle principali truffe dell’epoca legate alla finanza.

In pratica, aveva coinvolto un enorme numero di investitori, promettendo loro rendimenti elevati sui loro investimenti. La realtà dei fatti è che questo schema piramidale era collegato all’assenza di investimenti reali: gli investitori, infatti, venivano pagati con i soldi di altri investitori. Un modello che per funzionare ha bisogno di un continuo aumento di investitori, altrimenti il castello di carte crolla. Una frode scoperta più volte e che portò a diverse condanne nei suoi confronti. Nonostante questo, lui stesso ripetè la truffa altre volte.

NFT-Schema Ponzi, c’è un possibile legame?

Questa breve premessa è utile per capire la provocazione di Levine sulle pagine di Bloomberg. In un paio di passaggi del suo lungo approfondimento, il giornalista esperto di finanza va a toccare due punti focali di questo parallelismo:

«Il modo sbagliato per dirlo è che ogni progetto Web3 è contemporaneamente uno Schema Ponzi […] Perché pensi che qualcun altro comprerà i token? È perché pensi che gli piaccia il prodotto? O è perché pensi che stiano  progettando di arricchirsi vendendo a un idiota più grande? Dove va a finire?». 

Una risposta all’ultima domanda l’abbiamo già: per il momento, tutto ciò è andato a finire nel calderone di una crisi che pare irreversibile. Tornando, invece, alla provocazione sull’assonanza NFT-Schema Ponzi (e più in generale al Web3), Levine non fa altro che sottolineare un aspetto speculativo che, ovviamente, può valere per ogni tipologia di mercato. Solo che l’aspetto “digitale” (compresa la dinamica dell’hype) è in grado di enfatizzare il tutto.

La difesa e la tutela della proprietà intellettuale di un’opera deve necessariamente avere un valore anche nell’ecosistema digitale. Questo non è in dubbio. Anzi, è sacrosanto. Ovviamente, però, ci si trova di fronte a moltissime difficoltà nella gestione di un panorama vasto e variegato che va ben oltre, per diffusione, alla tecnologia blockchain (la catena che dovrebbe garantire il copyright). Da qui la speculazione: acquistare la proprietà di un oggetto non tangibile è un rischio economico per chi vende e per chi compra.

Speculazione

Come sottolineato da Levine nel suo approfondimento scritto quando ancora la bolla non era scoppiata, gli NFT sono spesso venduti con la promessa di un rendimento futuro: chi li acquista non lo fa “solo” per avere un “pezzo d’arte”, ma anche per mettere in cantiere la possibilità che questo investimento possa portare a un rendimento in futuro (più o meno recente). Ma il valore di questo rendimento è condizionato da fattori ancor più incontrollabili rispetto alle speculazioni di borsa, in quando non ci si basa su alcun valore reale. Tutto dipende dall’arrivo di nuovi investitori che devono essere in grado di poter pagare prezzi sempre più alti per l’acquisto di uno o più NFT. Dal momento in cui questa “base” svanisce, la bolla scoppia.

Levine, nel suo approfondimento cita alcuni casi emblematici: il non-fungible token del primo tweet di Jack Dorsey (fondatore di Twitter) fu venduto per 2,9 milioni di dollari nel marzo, ma quel valore è sceso inesorabilmente a 10mila dollari dopo poco più di un anno e mezzo. Per questo, secondo il giornalista, NFT-Schema Ponzi è un parallelismo provocatorio, ma che ha dei punti in comune: questa modalità in cui i nuovi investitori vengono pagati con i soldi arrivati dagli investitori precedenti è il primo tassello di questa piramide che, però, crolla se gli investitori smettono di arrivare. Il paradosso di questa previsione sembra essersi amaramente avverato.

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